“Come Socrate, l’immigrato è atopos, senza luogo, fuori posto, inclassificabile. Paragone, questo, che non è fatto soltanto per nobilitare in virtù di un riferimento: né cittadino, né straniero, né veramente dalla parte dello Stesso, né totalmente dalla parte dell’Altro, l’“immigrato” si colloca in quel luogo “bastardo” di cui parla anche Platone, al confine tra l’essere e il non-essere sociale. Fuori posto, nel senso di sconveniente e inopportuno, suscita imbarazzo. E la difficoltà che si prova a pensarlo – persino da parte della scienza, che spesso riprende i presupposti o le omissioni della visione ufficiale – non fa che riprodurre l’imbarazzo che crea la sua ingombrante esistenza. Ovunque di troppo, tanto nella società d’origine quanto in quella d’accoglienza, l’immigrato costringe a ripensare interamente la questione dei fondamenti legittimi della cittadinanza e della relazione fra Stato e nazione, o nazionalità.”
Pierre Bourdieu, prefazione a “L’immigrazione, o i paradossi dell’alterità”, di Abdelmalek Sayad. Via Daniele Massaccesi.