Il recente viaggio di Xi Jinping in Asia Centrale, durato 10 giorni, permette di mettere in luce diverse tra le linee guida della politica estera cinese, nonché le possibili conseguenze. Mentre i riflettori sono puntati sulle tensioni del Mar Cinese Meridionale, i confini occidentali della Cina stanno diventando, senza eccessiva risonanza mediatica, un vero e proprio intreccio di interessi ad alto potenziale esplosivo.
Xi Jinping ha visitato tutti gli stati centroasiatici, ad eccezione del Tagikistan, concludendo importanti accordi economici, perlopiù nel settore energetico. Di particolare rilevanza la decisione presa col Turkmenistan, che ormai vede nella Cina il principale partner commerciale, di proseguire nello sviluppo del gasdotto che farà giungere il gas turkmeno nello Xinjiang. Di questo gasdotto beneficierà anche il Tagikistan, che seppur escluso dal tour diplomatico del Presidente cinese, si è detto d’accordo a continuare nel progetto, attraverso una diramazione, beneficiando dei diritti di passaggio delle forniture. Inutile dire che Mosca non ha mostrato entusiasmo per l’iniziativa cinese, e si presume che il prossimo vertice della SCO (Shanghai Cooperation Association) vedrà un probabile confronto tra le due potenze.
Nello Xinjiang sono in corso inoltre esercitazioni congiunte tra forze armate cinesi e pakistane. L’attività militare segue le critiche di Pechino a Islamabad per la mancata, a dire delle autorità cinesi, repressione delle attività terroristiche in territorio cinese degli Uiguri presenti sul territorio pakistano. Quello con il Pakistan è un rapporto che si è deteriorato a seguito della vittoria elettorale di Nawaz Sharif, e non è un caso che recentemente una compagnia cinese sia stata di fatto esclusa dalla realizzazione del gasdotto IP (Iran-Pakistan). La Cina ha tutto l’interesse a partecipare nel progetto, finanziandone i lavori, per impedire che ad Iran e Pakistan si aggiunga l’India, ipotesi non così remota dopo l’elezione di Sharif.
Il legame tra Cina e Pakistan vede un forte interesse di Washington, che dell’alleato pakistano non si è mai del tutto fidato. In vista del ritiro del 2014 gli Stati Uniti stanno aumentando la collaborazione con Pechino nella gestione dei rapporti proprio con il Pakistan e con l’Afghanistan. In questa regione ci sarebbe quindi un convergere di interessi tra i cinesi, alla ricerca continua di gas nonostante le previsioni degli esperti che ritengono la Cina diventerà entro il 2035 il terzo produttore mondiale, ed il vuoto che sta avvolgendo la politica estera americana. L’amministrazione statunitense, a causa della mancanza di linee guida concrete in ambito geopolitico sta di fatto arrivando a supportare la Cina, in un’ottica di stabilizzazione della regione.
Tuttavia ad essere coinvolti sono molti altri attori, come l’India sempre più presente in Uzbekistan, ed il Giappone che sta tentando di contrastare l’influenza cinese in Turkmenistan. India e Giappone sarebbero in orbita americana, e sembra naturale che stiano agendo contro la Cina, ma tuttavia gli USA, come visto, non hanno interesse ad uno scontro frontale con Pechino. Russia e Cina sono alleate ma i loro interessi sono sempre più divergenti. Senza dimenticare l’Iran, il cui cambio al vertice potrebbe favorire un riavvicinamento con Washington, che non ha particolare interesse nel mantenere le ostilità con Teheran. Ma qualcuno rischia di venire sacrificato all’interesse geopolitico, come già avvenuto all’India quando gli USA si allearono con il Pakistan per “gestire” l’Afghanistan.
Ed alla base della piramide, o di una delle piramidi, c’è lo Xinjiang, geograficamente strategico per Pechino, dove la repressione cinese prosegue, con tanto di condanne a morte, nel silenzio pressoché assoluto dei media, e delle istituzioni, internazionali.
Immagine tratta da Wikipedia
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