Italiani in Asia – Nuovo appuntamento con la sezione di Asiablog dedicata a interviste e opinioni di connazionali in Oriente.
Dopo una chiacchierata tra il sottoscritto e Fausto ed uno scambio di idee con Barbara sui concetti di viaggio e multicultura, in questo spazio abbiamo presentato Marco Ferrarese, dottorando, rocker e globetrotter residente in Malesia; Alessandra Colarizi, giovane sinologa romana a Pechino; e Furio, simpatico italiano che vive in Cina dal 2010. Oggi è la volta di un altro ragazzo italiano, Mauro, anch’esso trasferitosi nel continente più grande e popoloso al mondo.
Come sempre, ci auguriamo che questa sezione possa aiutare a chiarire dubbi, confermare opinioni e aiutare chi dall’Italia sta pensando di trasferirsi in Oriente per affari, lavoro, viaggi, studio, amori, o quant’altro… buona lettura!
Ciao, Mauro. Prima dell’intervista vera e propria, presentati ai lettori.
Un saluto a tutti i lettori di Asiablog.it. Mi chiamo Mauro e sono nato nel 1975 a Lodi, Dopo la laurea in giurisprudenza ho lavorato per quasi dieci anni nel settore legale coltivando nel frattempo il mio amore per i viaggi e le mete insolite. In passato ho viaggiato intensamente in Europa, cosa che mi ha consentito di collaborare con Vie dell’Est e East Journal pubblicando reportage di viaggio e approfondimenti sui paesi dell’ex cortina di ferro. Nel 2010 ho scoperto l’Asia e, dopo un viaggio durato sette mesi a cavallo di sei paesi, ho deciso di trasferirmi in Laos. Gestisco il mio blog personale (mauroproni.wordpress.it) e attualmente collaboro come Content Manager con Lodi Città, portale italiano di rilevanza locale. Attualmente vivo a Pakse, in Laos, e faccio l’insegnante.
Come ti è venuto in mente di trasferirti in Laos?
Per puro caso. L’anno scorso ho lasciato l’Italia per intraprendere un anno sabbatico, una di quelle esperienze che in Italia sono ancora considerate come colpi di testa. Mi trovavo a Paksé, nel Laos meridionale, davanti ad un’agenzia turistica in attesa del bus e vidi un cartello: cercavano un insegnante di inglese per una scuola privata. Ho preso i dati, mi sono sentito con il titolare, ho fatto un colloquio ed eccomi qua.
E gli “affetti” in Italia? Famiglia, amici, mogli, amanti… come hai fatto a ad abbandonare tutto e trasferirti in un luogo strambo come il Laos?
Non ho mogli, figli o amanti, ma solo due genitori in buona salute, e tutto ciò mi ha consentito di partire con una certa serenità. Oggi la tecnologia consente di tenersi in contatto in vari modi e in tempo reale, cosa che faccio sia con i miei genitori, sia con gli amici. “E’ come se non fossi mai partito” mi ha detto un giorno una mia amica con la quale mi sentivo spesso via facebook.
E il lavoro in Italia?
Il lavoro in Italia non l’avevo più, la società per cui lavoravo ha chiuso a fine 2011, e proprio per questo motivo sono partito per un anno sabbatico. Facevo il Team Leader nel settore della gestione crediti bancari, cosa che ho fatto per nove lunghi anni.
Ne parli come se non ti avesse mai entusiasmato quel lavoro.
Per certi versi è stata un’ottima esperienza perché mi ha insegnato tante cose, ma anche a capire cosa non volevo fare. Non parlo tanto del lavoro in sé, ma di tutto quello che ci stava intorno. Ero pendolare. Mi alzavo al mattino, prendevo un treno, due metro e dopo un pezzo a piedi raggiungevo l’ufficio: un ora in totale; mi sentivo già quell’ora addosso come un macigno e per giunta non mi veniva retribuita. Ti risparmio le varie peripezie da pendolare-tipo: treno in ritardo, aria condizionata o riscaldamento rotto, viaggi in piedi, guasti improvvisi e via dicendo.
Consiglieresti a qualcuno di fare la tua stessa esperienza di anno sabbatico?
Dipende da chi è quel qualcuno. Girare sette mesi con lo zaino in spalla non è facile e non è comodo, soprattutto se all’estero si è andati solo per sdraiarsi su una spiaggia due settimane all’anno; a queste persone sicuramente lo sconsiglio. La consiglio invece a tutti coloro che vogliono vivere un’esperienza meravigliosa, a chi ama viaggiare “fai da te”, a chi ama scoprire e confrontarsi, a chi è insoddisfatto della propria routine quotidiana e cerca qualcosa di diverso, in sostanza: a chi vuole sentirsi veramente libero.
Veniamo al Laos.
Il Laos è un altro pianeta in tutti i sensi. Lingua diversa, abitudini diverse e un modo di ragionare lontanissimo da noi ne fanno una realtà non sempre facile da vivere per noi occidentali. Ci vuole un po’ di addestramento e tanta pazienza, cosa che a me spesso manca. Se non fossi già stato nel Paese anni fa non avrei mai deciso di partire alla cieca.
Però se hai resistito un anno significa che non ti sei trovato male.
E’ vero. Le esperienze positive sono state più di quelle negative, o meglio, così io le ho interpretate e ho cercato di valorizzarle.
E quelle negative?
Ho cercato di imparare anche da quelle, per non ripetere gli errori di nuovo. Viaggiare insegna tantissimo.
Cosa ti ha insegnato il viaggiare?
A rapportarsi con culture nuove, a capire che il nostro modo di vivere è ben lungi dall’essere perfetto, che non tutti su questo pianeta affrontiamo i problemi nella stessa maniera, che anche un analfabeta può essere un gran maestro e soprattutto che la libertà che ci sbandierano come un vessillo da adorare non è nient’altro che una moderna forma di schiavitù.
Spiegati meglio.
Alzarsi al mattino per andare al lavoro, rincasare quando fa buio, accendere la televisione e farsi dire come la devi pensare: è libertà questa? Il fine settimana è meglio se lo passi al supermercato a spendere i soldi che hai guadagnato perché sei un consumatore e se non consumi il sistema non funziona. E’ questo il nostro ruolo: lavorare e consumare. La trovo una forma di moderna schiavitù. Sicuramente a qualcuno fa comodo.
A chi per esempio?
Al sistema: politica, banche, economia di mercato. Meno tempo hai per te stesso, meno lo passi a leggere, ad informarti, a ragionare e meno capisci la realtà che ti circonda. Chi ha voglia, dopo una giornata di lavoro di mettersi a leggere i giornali o un libro? Sempre meno persone lo fanno, le statistiche sul nostro paese sono sconfortanti, gli italiani leggono poco, sia cartaceo che formato digitale; del resto è più facile accendere la televisione e sentire mezzora di telegiornale e, se proprio vuoi fare l’esperto, due ore canoniche di Santoro la sera; così fino alla puntata successiva sai come la devi pensare. Tiziano Terzani diceva: “Sapete che differenza c’è tra un cinese e un americano? Il primo fa delle cose perché gliele dice lo Stato, il secondo fa le stesse cose ma pensa di essere libero”. Lo trovo illuminante.
Ci stai facendo un quadro sconfortante. E’ proprio così?
Sì, anche se ci sono tanti modi per viverla. C’è chi non se ne rende nemmeno conto, buon per lui; c’è invece chi si costruisce il suo mondo immaginario dove tutto funziona benissimo, che non è nient’altro che un modo per sopravvivere; poi c’è chi se ne rende conto ma non riesce a fare il passo per cambiare e poi ci sono quelli che fanno quel passo e cambiano vita.
In Laos è tutto rose e fiori?
Certamente no, le cose che non vanno sono più di quelle che funzionano, ma basta sapersi accontentare e non avere pretese. I lao sono maestri in questo. Qui si può decidere se lavorare tanto o poco, con quali ritmi e si gode di una libertà pressoché totale. In Europa non siamo noi a decidere i ritmi della nostra vita e siamo circondati da mille regole: sulla strada, sul lavoro e persino in casa nostra dobbiamo sottostare a un regolamento “condominiale”.
E i laotiani come sono?
I lao lavorano poco e dormono parecchio. E’ una cosa alla quale ci si abitua col tempo. Non è raro entrare in negozi o ristoranti e trovare lo staff spaparanzato davanti alla televisione o sul materassino a dormire. Non è nemmeno raro ordinare un piatto e vedersene arrivare un altro, così come sentirsi ripetere sempre “yes” ad ogni domanda anche il nostro interlocutore non ha capito nulla di quello che gli abbiamo chiesto. Per un lao dire di sì è una forma di cortesia, comunque. E’ un tema molto complesso, ma per questo c’è il libro che sto scrivendo e non voglio anticipare nulla, se no l’editore mi sgrida…
Veniamo proprio a questo, al tuo secondo lavoro. Tu hai già avuto esperienze nell’ambito della scrittura, hai vinto anche un premio qualche anno fa, ed ora stai lavorando a un libro, giusto?
L’ho appena terminato. E’ un libro per una collana specifica che tratta usi, costumi e tradizioni di paesi stranieri. Ci ho lavorato parecchio ed è una di quelle cose che ho potuto fare in assoluta tranquillità grazie al fatto che inizio a lavorare come insegnante nel tardo pomeriggio e ho praticamente quasi tutta la giornata libera.