La crisi politica in corso nel piccolo paese asiatico è seguita con interesse da Pechino e Washington
(Asiablog.it) – La politica cambogiana in occasione delle recenti elezioni politiche – che Asiablog.it ha ampiamente seguito – si è decisamente fatta prendere la mano, facendo irruzione nel delicato panorama internazionale e suscitando timori da più parti. In Cambogia, sia il governo che l’opposizione stanno sottolineano i rischi di una guerra civile nel caso in cui la situazione non si dovesse sbloccare, ma in fondo questo non è che l’esito di una campagna elettorale infuocata da toni assolutamente aspri.
A confrontarsi erano da un lato il partito di maggioranza CPP (Parito del Popolo Cambogiano), guidato da Hun Sen, espressione di una classe politica corrotta e nepotista che in queste elezioni vedeva la possibilità di far subentrare, nei ruoli chiave del paese, una nuova generazione di “oligarchi”; dall’altra parte il principale partito di opposizione, il Partito per la Salvezza Nazionale Cambogiana (CNRP), il cui leader Sam Rainsy vanta una carriera turbolenta tra attentati, guai giudiziari ed esili autoimposti. Entrambi gli schieramenti hanno gestito la campagna elettorale in maniera aggressiva, suscitando le riserve della comunità internazionale.
Se l’espulsione, decretata da Hun Sen, dei parlamentari dell’opposizione (prima del voto) ha messo in allarme le cancellerie occidentali in merito ai progressi democratici cambogiani, lo stesso risultato si è avuto con l’insistere di Sam Rainsy sul tema degli ex-guerriglieri Khmer Rossi, molti dei quali fanno parte dell’attuale classe dirigente. Rainsy, già in passato condannato per avere ecceduto nelle proteste antivietnamite al confine tra i due paesi, ha giocato molto sulla carta nazionalista, arrivando ad accusare il Vietnam di avere montato una messinscena ai danni del regime di Pol Pot. Inutile riportare il fastidio delle succitate cancellerie occidentali verso i riferimenti ad un periodo storico che nessuno, in particolare gli Stati Uniti, ha interesse a far riemergere.
Ma Cambogia significa Cina, e Pechino si è infatti affretata a dichiarare che Hun Sen significa stabilità. Il governo cambogiano sta raccogliendo i frutti di una fedeltà tale da aver attirato verso Phnom Penh diverse critiche. La Cambogia, infatti, durante la sua recente presidenza ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico), ha impedito che venisse affrontato con decisione il tema dei contrasti territoriali nel Mar Cinese Meridionale. E non sembra un caso che subito dopo il risultato elettorale il ministro degli esteri cambogiano, riecheggiando parole d’ordine di stampo cinese, abbia invitato le diplomazie straniere a non interferire con le vicende interne della Cambogia, ossia la diatriba sui risultati elettorali. E Cina significa investimenti, come ben sa il settore tessile cambogiano.
Tuttavia gli esiti delle elezioni in Cambogia rischiano di destabilizzare un’area sempre più contesa tra Cina e Stati Uniti. Al momento a Phnom Penh regna l’incertezza, addirittura su chi abbia davvero vinto, con un opposizione che denuncia una vittoria “scippata” dai brogli, ed un vincitore che propone agli sconfitti un’inchiesta sotto la supervisione della Commissione Elettorale Nazionale (NEC), un organo legato a doppio filo al regime di Hun Sen. Anche a livello internazionale i punti di riferimento sembrano ora essere non del tutto definiti. Hun Sen, che rappresenta la posizione filo-cinese, ha in ogni caso perso molto del suo consenso, mentre Rainsy, fino ad oggi più legato all’occidente, con la sua virulenza antivietnamita rischia di minare, almeno parzialmente, gli equilibri diplomatici della regione, dove il Vietnam – storico nemico della Cina – è sempre più corteggiato dagli Stati Uniti.
La confusa realtà cambogiana si inserisce quindi in un contesto internazionale dove si stanno formando fronti contrapposti, con Filippine e Vietnam capofila del sentimento anticinese. Una regione dove il risorgente nazionalismo giapponese preoccupa e dove la Cina tesse alleanze a suon di investimenti, come nel caso del recente gasdotto sino-birmano. Resta da vedere se la Cambogia riuscirà a inserirsi in questo scenario, oppure rimarrà attore di secondo, o addirittura terzo, piano.
Fonte immagine: DW
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