“Tu mi ricordi una poesia che non riesco a ricordare, una canzone che non è mai esistita e un posto in cui non devo essere mai stato.” (C’era una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo – Efraim Medina Reyes – Ed.Feltrinelli)
Forse questa frase descrive al meglio la narrativa di Efraim Medina Reyes, sorprendente e coinvolgente: sai di leggerlo ma non ne hai la certezza assoluta, ti sembra di averlo già letto ma non ne sei sicuro.
Lo stesso Medina Reyes rifiuta un accostamento alla narrativa latinoamericana del cosiddetto realismo magico ed allo stesso tempo, in occasione di una sua intervista di inizio carriera, ci tenne a precisare: “No me digan Bukowski”.
Questo per sintetizzare le molteplici comparazioni che la critica propose al suo esordio nella speranza di inquadrare il suo modo di scrivere.
Scoprii questo poco prevedibile scrittore in una recensione pubblicata nel mitico Domenicale de Il Sole24ore, in occasione della pubblicazione in Italia del suo primo romanzo e da allora ho letto tutti i suoi libri (compreso una favola per bambini – Sarah e le Balene – Ed.Feltrinelli).
Definire il suo modo di scrivere non è semplice, in quel primo libro (C’era una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo– Ed. Feltrinelli ) trovavi l’indicazione della colonna sonora del capitolo e la sensazione che due diversi scrittori fossero all’opera contemporaneamente sulle stesse pagine.
Questo nuovo libro è un ulteriore avvitamento, una nuova tappa della sua sperimentazione narrativa.
Di solito, quando parlo di un libro non entro mai in molti dettagli della trama, in questo caso: nessun dettaglio, credo spetti al curioso scoprire “Quello che ancora non sai del Pesce Ghiaccio”.
Medina Reyes rifiuta d’essere etichettato quale appartenente al “realismo magico” ed io non ho nulla in contrario, non amo le etichette, ma la descrizione che da di un villaggio, nel brano sottostante, come la vogliamo definire?
“Nella foresta c’è un villaggio famoso, abitato da discendenti di ex schiavi liberati, di criminali e avventurieri. Là la gente balla e nessuno piange quando qualcuno muore. Si piange quando qualcuno nasce, evento che a loro sembra più triste della morte. Gli uomini non lavorano, e nemmeno possono fare le faccende di casa: le loro donne non glielo permettono. Hanno l’obbligo di dormire e riposare tutto il giorno perché al loro ritorno a casa le loro donne li obbligheranno a fare l’amore tutta la notte. Ecco, un posto del genere può esistere solo in Colombia, io credo.” (Da Mangialibri.com – Intervista a Efraim Medina Reyes di David Frati)
- Fotografia come esclamazione di vitalità - 19/08/2016
- La Thailandia, la zucca e… il peperoncino - 11/08/2016
- Hiroshima, la bomba di Dio - 06/08/2016