Per Via della Seta si intende un complesso sistema di vie di comunicazione che per secoli ha messo in contatto Occidente ed Oriente, estendendosi per circa 8.000 chilometri, dalla città cinese di Chang’an (oggi Xian) fino a Roma. Su questa rotta viaggiavano non solo la seta, ma una quantità di merci in entrambe le direzioni ed anche idee; la Via della Seta fu un elemento fondamentale di scambio culturale e diffusione religiosa: dalla matematica al nestorianesimo, dalla geometria al buddismo.
La Via della Seta aveva diverse rotte, nonostante la più conosciuta sia quella settentrionale, che dalla Cina giungeva ad Occidente attraverso le montagne ed i deserti dell’Asia Centrale. Esisteva infatti anche una via meridionale che dal sud della Cina passava per l’odierna Birmania arrivando poi in India, da dove poi si inoltrava verso occidente circumnavigando la penisola arabica. La Via della Seta ebbe il suo apogeo durante i secoli della dominazione mongola, quando la pax mongolica rendeva sicuro il viaggio per le carovane dei mercanti, per decadere poi una volta che i commerci si spostarono sul mare, abbattendo costi e tempo di viaggio.
Proprio il mare è il fattore che spinge sempre più la Cina verso il ritorno alla Via della Seta. Per Pechino infatti le contese territoriali, e la presenza degli Stati Uniti, stanno rendendo il Mar Cinese Meridionale sempre più un’area a rischio, con possibili ripercussioni sui suoi interessi commerciali. La politica economica ufficiale della Cina è ormai diventata “go to west”, il che ha profonde implicazioni per tutta la regione. Innanzitutto la Cina ha bisogno di risolvere la questione dello Xinjiang, l’ovest cinese, da sempre una regione non del tutto controllata da Pechino, e sempre più geostrategicamente fondamentale.
In quest’ottica si possono capire le politiche di sinizzazione degli Uiguri musulmani, abitanti orginari dell’area, e dello scempio urbanistico intrapreso. Da sempre utilizzato come zona industriale ora lo Xinjiang nei programmi di Pechino diventerà un centro nevralgico di snodo dei commerci, epicentro di una fitta rete di infrastrutture. Anche la via meridionale passa per regioni cinesi non del tutto stabili come lo Yunnan. Questa zona vede la più alta concentazione di etnie non han (quella maggioritaria in Cina) ed in passato è stata al centro di forti tensioni dal carattere insurrezionale. Oltre al rifornirsi di gas e petrolio, la Cina ha bisogno di delocalizzare le sue aziende – visto l’aumento del costo del lavoro interno – ed una politica di espansione verso zone come il Sud-Est asiatico e l’Asia Centrale presuppone dei confini interni stabili.
Dal punto di vista internazionale la rinascita della Via della Seta suscita l’interesse di molti. L’Unione Europea si era già mossa in questa direzione dopo la caduta dell’Unione Sovietica con il TRAnsport Corridor Europe-Caucasus-Asia (chiamato anche The Great Silk Way) del 1998, poi diventato nel 2007 “EU and Central Asia: Strategy for a new Partnerships”. Programmi tuttavia viziati da un’impostazione ideologica, a marca statunitense, di contenimento della potenza cinese. La Via della Seta potrebbe poi essere un’importante elemento di coesione per l’ASEAN (Association of Southeast Asian Nations), attraverso una rete commerciale in cui un ruolo di perno sarebbe giocato dall’India. Ipotesi contrastata dagli USA, che dal 2005 stanno tentando di realizzare, in chiave anticinese, un accordo di libero scambio tra i paesi della regione: il TPP (Trans-Pacific Strategic Economic Partnership Agreement).
Sempre nel 2005 Zhou Jiping, presidente di CNPC (China National Petroleum Company), dopo l’acquisizione della kazaka PetroKazakhastan (e dopo che il Congresso americano bloccò quella di Unocal) dichiarò: “questa è la nuova via della seta”. Oggi come allora sulla Via della Seta corrono merci e denaro – per le idee il rischio è che ne circolino molte autoritarie – resta da vedere chi realizzerà la pax mongolica.
Immagine tratta da www.dogcanyon.org.
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