“Un atto rivoluzionario da parte di un regista fondamentale non solo per il cinema cambogiano e non solo per la realtà documentaria internazionale. Dovrebbe essere proiettato nelle scuole, ma con ogni probabilità in Italia non sarà visto quasi da nessuno. Perché da noi, da un paio di decenni a questa parte, l’immagine mancante è diventata la Storia stessa”.(dalla recensione di Raffaele Meale, Cannes, 21 maggio 2013 al film “L’image manquante” del regista cambogiano Rithy Panh)
Non credo ci sia nulla da aggiungere all’amaro paragrafo finale della recensione fatta da Meale.
“Mi chiamo Somaly; o, per lo meno, così mi chiamo adesso. Come tutti, in Cambogia, di nomi ne ho avuti parecchi. Un nome deriva da una scelta provvisoria, lo si cambia come si cambia vita se la sfortuna si accanisce contro di noi, per esempio. Ma non mi ricordo bene dei nomi che ho avuto quando ero piccola. Del resto, non ricordo quasi niente della mia prima infanzia; non so granché delle mie origini e ho ricostruito a posteriori, da vaghi ricordi, quel minimo di storia che sto per raccontarvi…”
Un libro autobiografico in cui l’autrice raccoglie le immagini della sua vita, da un’infanzia affamata e venduta a un bordello di Pnohm Penh sino all’incontro col biologo francese Pierre Legros, ora suo marito. Assieme hanno creato ed animano “Agir pour le femmes en situation précaire” (AFESIP) che fornisce assistenza e istruzione per una vita dignitosa alle ragazze scappate dai bordelli della Cambogia, del Vietnam, della Thailandia.
“Le ragazze non sono mai consenzienti, soprattutto le più giovani. Piangono tutti i giorni di vergogna e di orrore per essere costrette a eseguire quel che i clienti, uno più orribile dell’altro, pretendono da loro.” (corsivi tratti dal libro “Il silenzio dell’innocenza” della scrittrice cambogiana Somaly Mam)
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