Con la sua mano sinistra prendeva la mia mano destra e, tenendomela aperta col palmo aperto all’insù, iniziava con indice e medio della sua mano destra a simulare una corsa di zampe sul palmo della mia mano:
Mano mano, piazza,
(le dita continuavano a solleticarmi il palmo)
ci passò una lepre pazza.
(improvvisamente afferrava il pollice e lo scuoteva)
Questo la prese,
(afferrava l’indice)
questo la spellò,
(afferrava il medio)
questo la cucinò,
(afferrava l’anulare)
questo se la mangiò,
ed al povero mignolino non rimase nemmeno un ossicino.
(scuoteva qualche volta il dito mignolo).
Sì, è una filastrocca ma le filastrocche sono poesie ed i bambini amano le poesie.
“L’arte è un miracolo, forse un miracolo minimale, ma tuttavia frequente. Nel mio caso si manifesta così : sento all’improvviso che qualcosa sta per accadere. E allora la mia anima e la mia coscienza entrano in un atteggiamento passivo. E aspetto.” (Testamento poetico letterario di Jorge Luis Borges – Ed. Giunti)
In terza elementare la maestra ci fece imparare a memoria: San Martino di Giosuè Carducci.
“La nebbia a gl’irti colli / piovigginando sale,/e sotto il maestrale/urla e biancheggia il mar;”
E via dicendo che ancora la ricordo tutta nonostante siano passati tanti anni.
Non ho mai dubitato sul fatto che “imparare a memoria” possa scalfire il “ludico naturale” che risiede in ogni bambino. Solo con la memoria ci si può ricordare del “gioco”” sino ad arrivare a “giocare con i ricordi”. Il problema a scuola erano gli insegnanti non gli alunni. Le mie maestre elementari (ne cambiai una ad ogni anno scolastico) erano certo brave donne ma in quanto a stimolare la fantasia ed il piacere di “imparare” erano alquanto impreparate.
Per di più mio padre si prese la briga di avvisarmi che, all’inizio dello scorso secolo, Carducci era molto meno famoso di tal Olindo Guerrini e dai suoi libri mi diede da leggere “Postuma” di Lorenzo Stecchetti alias di Olindo Guerrini.
A giustificazione di mio padre devo dire che il suo “sentirsi romagnolo” non era un ideale separatista ma semplice campanilismo, rivendicava l’importanza del conterraneo Guerrini nella poesia italiana come, per il medesimo motivo, giudicava il Pascoli superiore al Carducci.
Aria ferma e corrotta,
acque stagnanti,
Biscie,
zanzare e rane,
Sabbie senza confin,
corvi vaganti,
Donne brutte e villane,
Gente ignorante gialla e discortese:
Ecco questo paese.
(Noia, L. Stecchetti)
La distanza tra i due poeti era stratosferica ma, anche se il mio paesaggio abituale era più fatto da sabbie che irti colli, decisi che ancora preferivo lo filastrocche: “Sulla salita di Rocca di Papa si ferma Coppi e fa una …”
Risultato provvisorio fu che evitai la poesia, fuori dalla scuola, per molti anni, all’epoca non esisteva una vasta editoria per bambini.
Leggere, in fondo, è un gioco e giocare è vita. Se riesci a trovare l’aspetto libero e gioioso in quel che fai, allora hai trovato “gioco e libertà”.
Certi giochi non hanno regole, altri hanno una o più regole l’importante è che la fantasia si stimoli, si liberi.
“L’inizio dell’idillio ‘La sera del dì di festa’ di Giacomo Leopardi è un momento di grande poesia:
Dolce e chiara è la notte e senza vento
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna
Le stesse parole, in ordine diverso, potrebbero essere un bollettino meteorologico. A seconda delle sequenza, esse suscitano lo stato d’animo della poesia oppure costituiscono un’informazione.” (Che cosa sono io – di Arnaldo Benini – Ed. Garzanti)
Un professore bravo l’ho avuto, mi odiava perché non rispettavo le sue regole, ma lui a me piaceva.
“… una selva oscura,/ ché la diritta via era smarrita./ Ahi quanto a dir qual era è cosa dura/ esta selva selvaggia e aspra e forte/ che nel pensier rinova la paura/”
Leggeva la Divina Commedia utilizzando il linguaggio del corpo, non era una lettura, era incedere faticoso tra i nostri banchi con ansia, terrore… vedevi la paura.
Io, senza orecchio per la musica e senso del ritmo per ballare, accarezzai per un attimo l’idea che l’unica “arte” per cercare di acchiappare ragazze fosse “usare” la poesia e non potendo utilizzare Dante, Petrarca, Nievo, Leopardi e gli altri poeti scolastici cercai “Cinque pezzi facili” da suonare … a necessità.
Il problema era che Jacques Prévert, all’epoca molto alla moda, mi sembrava melenso:
Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte.
Il primo per vederti il viso
Il secondo per vederti gli occhi
L’ultimo per vedere la tua bocca
E tutto il buio per ricordarmi queste cose
Mentre ti stringo fra le braccia.
Pavese era splendido ma, purtroppo, sembrava tanto il Luigi Tenco da poco suicida.
” Ti amo. Di questa parola so tutto il peso, l’orrore e la meraviglia, eppure te la dico quasi con tranquillità. L’ho usata così poco nella mia vita e così male che è come nuova per me”.
E vi risparmio gli altri anche se le “perle” che avevo trovato, da Majakowskij a Quevedo, non erano niente male .
Poi, a dire il vero, servirebbero anche dizione e ritmo e non ero certo l’Albertazzi che si era visto in TV. E così rinunciai alla mia ricerca di poesia “utile”. Alle ragazze, in fondo, piaceva più ridere che ascoltare “poesia”.
Ma intanto avevo rovistato anche tra Lorca, Esenin, Quasimodo, Ungaretti. Ma anche Rimbaud , Eliot e Pound che, ogni tanto, ritornano con i ricordi degli amici e di quegli anni da immortali.
A me la poesia è sempre piaciuta. È come la musica, un oggetto di per sé inutile. Un inutile fronzolo per sopravvivere nella giungla … ma una necessità per la nostra vita.
ci vuole
un sacco di
disperazione
e
disincanto
per scrivere
qualche
poesia buona.
non è
una cosa
da tutti
scriverla,
certo,
ma neanche
leggerla.
(Poesia, Charles Bukowski)
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