Il 7 maggio 1954 con la caduta dell’avamposto Isabelle terminò la battaglia di Dien Bien Phu, iniziata mesi prima, e nello stesso tempo si chiuse la colonizzazione francese in Indocina. L’esercito francese, nelle cui fila erano presenti soldati francesi, mercenari (soprattutto tedeschi), thailandesi, vietnamiti e nord-africani, si ritrovò accerchiato da una morsa che si stringeva silenziosamente da diverso tempo. Ma la vittoria del comandante Vo Nguyen Giap fu anche l’inizio di molto altro, le cui conseguenze erano allora imprevedibili.
Dien Bien Phu fu una vittoria che l’esercito del Vietminh volle a tutti i costi per affermarsi sulla scena internazionale. A seguito della conclusione della guerra di Corea, infatti, erano iniziati negoziati per una soluzione diplomatica della guerra scoppiata apertamente in Indocina il 19 dicembre del 1946. La fine della guerra di Corea aveva inoltre permesso alla Cina di rifornire il Vietminh di uomini e materiale; dopo il 1949 la Francia stava di fatto combattendo contro il comunismo in nome dell’Occidente, in un’ottica divenuta di Guerra Fredda.
In questo contesto Parigi, alle prese anche con il disgregamento della sua Unione coloniale comprendente Laos, Cambogia e lo stato ufficialmente riconosciuto del Vietnam, si rivolse sempre più agli Stati Uniti per la risoluzione della crisi indocinese, attraverso quelli che erano veri e propri appelli. Gli USA tuttavia erano (per il momento) disponibili solo a supporto logistico essendo le posizioni interventiste, rappresentate da Richard Nixon, in minoranza al Congresso. Significativo del nuovo clima internazionale nel quale la Francia si trovò a combattere il fatto che dagli Stati Uniti venne proposto il “prestito” di due bombe atomiche, offerta rifiutata dal presidente francese Bidault.
Trovatisi immersi nella crociata anticomunista, travolti dallo shock dovuto alla sconfitta, gli ufficiali francesi si misero a studiare le cause che avevano portato a tale disastroso esito. L’esercito francese era nettamente più e meglio equipaggiato dei suoi nemici, ma allora perchè aveva perso? Vennero analizzate le tattiche di guerriglia usate dal Vietminh, vennero studiate le teorie di Mao sulla “guerra fra le masse”, dando particolare attenzione all’importanza del lato psicologico della guerra: era nata un’ élite intellettuale di ufficiali sostenitori della “guerra rivoluzionaria”.
Ovviamente una guerra rivoluzionaria da applicare in chiave anticomunista, conoscendo la guerriglia per fare controguerriglia. In un mondo cambiato le vecchie tattiche militari proprie di eserciti regolari non servivano più, crescevano i sostenitori del terrore come arma, della guerra politica e dell’uso della paura delle popolazioni al servizio di interessi superiori. Le nuove tecniche vennero applicate durante la guerra d’Algeria, dove reduci dall’Indocina fondarono l’O.A.S. (Organisation de l’armèe sécrete), una vera e propria organizzazione paramilitare. I “colonnelli rivoluzionari” non riuscirono tuttavia a portare dalla loro parte l’intero corpo ufficiale dell’esercito, ma furono abbastanza forti da tentare un golpe nel 1958, accusando De Gaulle di essere al servizio degli interessi capitalisti americani, e di voler costruire un armamento atomico a scapito di un “esercito rivoluzionario”.
Nel frattempo, infatti, tra le loro file era sempre più emersa un’ideologia anticapitalista, come avvenne agli albori di fascismo e nazismo, sconfinante negli ambigui territori del “toccarsi degli estremi”. Ma se De Gaulle sventò il tentato colpo di stato del 1958, ed uno su scala ridotta nel 1961, resta il fatto che le teorie della guerriglia applicate in chiave anticomunista furono purtroppo parte integrante di una strategia stragista che insaguinò i decenni successivi.
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