La recente crisi nordcoreana, di fatto scomparsa dai mezzi di informazione, ha messo in luce quello che sarà uno degli elementi chiave della geopolitica prossima ventura, ossia il rapporto tra Stati Uniti e Cina. La collaborazione di Pechino in quella che potremmo definire una “crisi permanente” ha probabilmente scongiurato un’escalation dagli esiti difficilmente prevedibili.Cina e Stati Uniti hanno tutto l’interesse a trovare forme di coabitazione nella regione Asia-Pacifico, che entrambe le superpotenze ritengono di primario interesse nella loro politica internazionale. Il governo statunitense, anche a seguito dei tagli al budget militare, ha dichiarato di volersi concentrare, la cosidetta “teoria del pivot”, su quella che è un’area fondamentale per lo sviluppo economico mondiale; inutile aggiungere che questa presa di posizione americana non ha per nulla incontrato il favore delle autorità cinesi.
Tuttavia più che ad uno scontro i due paesi sono interessati a trovare degli strumenti di collaborazione, le cui basi recenti sono state gettate nel corso della visita ufficiale negli USA fatta da Xi Jinping – allora ancora vice presidente – nel febbraio del 2012, in occasione del quarantesimo anniversario della visita di Richard Nixon in Cina. Lo scopo del viaggio dell’odierno presidente cinese era incrementare i rapporti di cooperazione tra Stati Uniti e Cina, favorendo allo stesso tempo la conoscenza reciproca e facendo sì che gli aspetti ideologici avessero sempre meno peso nelle relazioni tra i due paesi. In quell’occasione venne messo in risalto il carattere commerciale di tali relazioni, e, significativamente, Xi Jinping incontrò anche il Segretario al Tesoro di allora, Henry Paulson.
Oggi invece la cooperazione tra Washington e Pechino assume un carattere sempre più militare, come dimostrato dalla recente visita a Pechino del generale Martin Dempsey, capo di stato maggiore dell’esercito americano. Dempsey ha incontrato Fan Changlong, vice presidente della commissione militare del partito comunista cinese, e Chang Wanquan, ministo della difesa nazionale. Le dichiarazioni ufficiali hanno reso noto come, nonostante alcuni elementi di disaccordo quali la vendita statunitense di armi a Taiwan, la presenza di navi ed aerei americani in zone cinesi di sfruttamento economico eslcusivo e la legislazione statunitense che limita la cooperazione militare con Pechino, alla fine si sia giunti alla decisione di intraprendere operazioni militari congiunte, finalizzate alla lotta anti-pirateria nel golfo di Aden ed alla gestione di calamità naturali.
Chang Wanquan, diventato ministro e consigliere strategico di stato quasi a sorpresa, vanta un profilo di altissimo livello: la sua carriera si è costruita nel comando della zona che comprende la difficile area dello Xinjiang, oggetto di profondo interesse da parte della compagnia petrolifera SINOPEC; Chang è inoltre il probabile ispiratore del Libro Bianco della Difesa, pubblicato lo scorso 15 aprile, che cambia rotta rispetto alle linee guida precedenti e che sottolinea i “pericoli crescenti nel mondo, individuati in rinnovate forme di interventismo e di egemonismo”. Pechino conferma così il suo rifiuto ad un ruolo egemonico mondiale, con il quale è sempre più spesso costretta a fare i conti, come in Africa, a spese della sua tradizionale volontà di non intervento nelle politiche interne di paesi terzi.
Stati Uniti e Cina stanno inoltre discutendo per trovare un accordo in merito alla cyber sicurezza, tentando di porre fine alle accuse reciproche di spionaggio industriale e cyber terrorismo, venendo quindi a creare un nuovo asse che potrebbe alterare gli equilibri di una questione finora discussa presso gli organismi internazionali, come le Nazioni Unite, ed alla quale risulta molto interessata la Russia. Pechino e Washington sono dunque anche in questo campo impegnate nella ricerca di un superamento delle divisioni ideologiche, favorendo invece l’interdipendenza economica.
L’interesse cinese nel non assumere posizioni egemoniche in campo internazionale sembra incontrare l’interesse opposto statunitense, ossia quello di non perdere il ruolo di paese-guida. Nel caso in cui un accordo in tal senso si trovasse, Russia ed Unione Europea non è detto ne traggano vantaggio.
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