Della Cambogia generalmente si sa poco, soprattutto della sua Storia. In Occidente il paese del Sudest asiatico è noto soprattutto per essere la meta di un turismo, sempre più numeroso che, nella ricerca di sfuggire le mete più “di massa”, vi si reca per visitarne le bellezze, prima tra tutte i templi di Angkor, vestigia dell’antico, e poco conosciuto, Impero Khmer. Ma la Cambogia è anche spesso associata ad un nome, quello di Pol Pot.
Le notizie che giungono dalla capitale, Phnom Penh, ci riportano proprio al periodo in cui i Khmer Rossi furono al potere (dall’aprile 1975 alla fine del 1978), ed ancora piu’ specificatamente al tribunale che i rappresentanti di tale regime ha il compito di giudicare: il Tribunale Speciale per i Khmer Rossi (il cui nome completo sarebbe Tribunale Speciale della Cambogia per la persecuzione di crimini commessi durante il periodo della Kampuchea Democratica).
E’ infatti recentemente morto a 87 anni Ieng Sary, uno dei principali imputati in quanto ex-Ministro degli Esteri del regime di Pol Pot, e questo pone serie questioni riguardo ai lavori del tribunale ed alla sua stessa esistenza. Costituito nel 2003, su richiesta di Phnom Penh, grazie ad un accordo tra le autorità cambogiane e le Nazioni Unite il Tribunale Speciale non ha mai avuto vita facile, osteggiato sia in patria che all’estero. La sua stessa struttura risulta essere un ibrido di leggi e procedure sia cambogiane che internazionali, che sommate alle pressioni politiche ne esasperano la lentezza che, vista l’età degli imputati, rischia di renderne inutile l’operato.
Sin dai primi anni il processo in corso ha visto la defezione di diversi giudici intenazionali, spesso motivate dalle interferenze del governo cambogiano e dalla non volontà di indagare in particolari i casi 3 e 4 (a cui sono associati i reati di genocidio e crimini contro l’umanità) per il coinvolgimento di importanti uomini d’affari e politici che furono attivamente impegnati nel regime dei Khmer Rossi. In più, soprattutto da parte americana si teme che venga dato risalto al fatto che, dopo la loro caduta per mano vietnamita, Pol Pot ed i suoi uomini siano stati finanziati ed equipaggiati, con la collaborazione della Cina, in un’ottica di guerra fredda antisovietica, alla quale non fu estraneo nemmeno il governo inglese, allora presieduto da Margareth Thatcher.
Ad oggi un solo imputato è stato condannato, e soltanto altre due imputazioni sono in corso, ma i procdimenti rischiano di essere chiusi per la mancanza di fondi internazionali, sempre meno cospicui. In marzo è iniziato uno sciopero dei traduttori che lamentano di non percepire gli stipendi da diversi mesi. Lo stesso governo cambogiano ha dichiarato che la Corte dovrà essere ridotta proprio per la mancanza di fondi, il che di fatto potrebbe significare la morte del Tribunale Speciale. Tutto questo pone il problema stesso dell’esistenza dei tribunali internazionali, troppo spesso legati ad interessi politici che ne compromettono il funzionamento, e troppo spesso resi “visibili” in base alle esigenze del momento.
Il popolo cambogiano quindi rischia di veder sparire, insieme ai suoi protagonisti, anche la ricerca di verità (se verità può esistere) nei confronti di un regime sul quale non è mai stata fatta chiarezza, spesso strumentalmente utilizzato nel corso di vere e proprie guerre ideologiche. Nonostante le ricerche di pochi studiosi, basti citare Michael Vickery, che hanno tentato di fare luce su quel periodo triste ed oscuro, sulle sue contraddizioni e divisioni interne, ancora troppe persone hanno interesse che sulla storia cambogiana di quegli anni resti il silenzio.
In ogni caso sarà il tempo ad essere giudice supremo, dei colpevoli come degli innocenti.
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