Si sono recentemente chiusi a Durban, in Sudafrica, i lavori del quinto incontro tra i cinque paesi del gruppo BRICS (Brasile, Russia, India, Cina ed appunto Sudafrica). Nonostante il convegno sia stato giudicato abbastanza infruttuoso dai media occidentali, gli incontri a latere sono stati motivo di grande interesse, come le dichiarazioni del presidente cinese, Xi Jinping, e del primo ministro indiano, Manmohan Singh, che hanno illustrato alla stampa come i due paesi abbiano intenzione di collaborare sempre più strettamente.
Cina ed India sono divise da diverse questioni, prima tra tutte quelle territoriali sfociate in passato (1962) in un vero e proprio conflitto armato concluso con una schiacciante vittoria cinese; i confini del Arunanchal Pradesh e del Kashmir sono infatti oggetto di una contesa mai risolta. I due paesi hanno tutto l’interesse nel giungere ad una risoluzione della disputa in quanto alle prese con altri problemi più urgenti.
La Cina ha bisogno di “pacificare” i suoi confini occidentali, soprattutto dopo le dichiarazioni americane relative alla volontà statunitense di tornare ad avere un ruolo attivo in Asia. Pechino ha contese territoriali con praticamente tutti i suoi vicini, in particolare quelli affacciantesi sul Mar Cinese Meridionale; area nella quale anche l’India ha forti interessi. Se un eventuale egemonia cinese potrebbe impensierire New Delhi, resta il fatto che una presenza americana potrebbe rendere più complicato il trovare un equlibrio attraverso accordi bilaterali.
Il “problema americano” tocca anche gli interessi indiani. L’embargo imposto dagli Stati Uniti verso l’Iran sta infatti danneggiando l’economia indiana, che proprio nella Repubblica Islamica ha un importante fornitore energetico. L’India finora non ha messo in discussione i rapporti con gli Stati Uniti per non mettere a repentaglio la collaborazione nelle ricerche sul nucleare, ma sembra che le cose stiano cambiando. Inoltre l’India sta vivendo un rallentamento della crescita economica e di crisi politica, con l’arretramento dei due partiti storici: il BJP (Bharatiya Janata Party), ed il Partito del Congresso. Questa crisi potrebbe togliere stabilità alla tradizionale politica estera indiana, assegnante il ruolo di “nemico” ora al Pakistan ora alla Cina, ma premurandosi di non avere mai conflitti aperti contemporaneamente sui due fronti.
L’India sta in ogni caso guardando anche ad ovest, con la volontà di ritornare a collaborare con Iran e Pakistan per la realizzazione del gasdotto IPI (Iran – Pakistan – India), da sempre osteggiato dagli USA che invece sponsorizzano il TAPI (Turkmenistan – Afghanistan – Pakistan – India). Sempre ad ovest guarda anche la Cina che stringe relazioni con il Pakistan, sia per quanto riguarda il campo della ricerca nucleare, che attraverso un prestito di 500 milioni di dollari per la realizzazione proprio del gasdotto IPI. La Cina inoltre è entrata in possesso, per cinque anni, del porto pakistano di Gwadar, importante snodo tra Asia Meridionale, Asia Centrale e Medio Oriente. Tuttavia l’instabilità pakistana sta suscitando discussioni tra le autorità cinesi sulla convenienza di tali investimenti.
India e Cina quindi sono destinate ad avere delle relazioni sempre più connesse, basate su sottili equlibri tra vantaggi e svantaggi, dove le questioni interne potrebbero influenzare le politiche estere dei due paesi. E non sembra un caso che, durante una visita ufficiale di autorità kazake in India, certa stampa indiana abbia indicato che New Delhi avrebbe invitato la repubblica centroasiatica a raggiungere il progetto TAPI, con una implicita funzione anticinese. Il governo kazako ha poi smentito tali affermazioni dichiarando tuttavia, in forma abbastanza generica, che India, Asia Centrale ed Asia Meridionale dovranno in futuro essere sempre più unite.
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