Il naso dentro qualche libro di Arthur Conan Doyle l’ho pure messo, da adolescente, ma lo scarso interesse che provavo nel “catturare il colpevole” non ha mai superato la fatidica soglia dell’innamoramento per il genere giallo – poliziesco.
Facevano tutto loro, Holmes o Watson che fosse, a me non restava molto spazio oltre i limiti dell’indagine in corso e poi l’ambiente mi stava stretto mancavano foreste, praterie, oceani, giungle e mari.
Poi, la mia passione per Robert Altman mi portò al cinema a vedere “Il lungo addio” e scoprii Raymond Chandler e l’ hard boiled , così viene definito questo genere giallo poliziesco per distinguerlo dai “gialli deduttivi”, insomma da Conan Doyle, Agatha Christie e compagnia bella dell’ Ispettor Hercule Poirot.
Un modo di contemplare la landa desolata e desolante della vita attraverso la morte (c’è sempre un morto ammazzato) e la scoperta di un qualche colpevole, sia un uomo o un gruppo sociale. Assieme a Chandler ho letto anche Dashiell Hammett per logica conseguenza ma anche per dire quale è il limite massimo che ho raggiunto nella lettura di giallo polizieschi.
Senza farsi troppe illusioni circa il futuro, esisterà sempre un cadavere, un indagine. Ma, almeno , come scrive Chandler:
« Hammett ha restituito il delitto alla gente che lo commette per un motivo, e non semplicemente per fornire un cadavere ai lettori; e con mezzi accessibili, non con pistole da duello intarsiate, curaro e pesci tropicali. »
(Raymond Chandler, La semplice arte del delitto)
Quando ho deciso di leggere “Bangkok uccide” di John Burdett, l’ho fatto solo perché la recensione diceva: “… un poliziotto thailandese dotato però di mentalità occidentale, le cui vicende si rivelano sorprendentemente un’ ottima guida per comprendere il buddhismo del paese” (Lonely Planet – Thailandia – EDT)
Quando mi è arrivato per posta, l’ultima di copertina mi ha lasciato interdetto, riporta alcune recensioni, una dice: “Immaginate un romanzo di Conrad con la velocità di un video game” (Boston Globe). Povero Conrad che avesse il bisogno di essere velocizzato, in quanto lento, non mi era mai passato per la testa. Ma questo non riguarda il libro ma la pubblicità e le sue “leggi”.
Il libro, nel suo genere, è ottimo. Anzi, per i cultori del genere credo possa considerarsi una lettura imperdibile. Ma in quanto a “ comprendere il buddhismo del paese”… non saprei. Più probabile che Leonardo Sciascia, siciliano, riesca a fare da guida per comprendere la “mafia”.
Certo, l’occhio attento dell’autore, ispeziona risvolti ed aspetti comuni ed insoliti della religiosità thailandese popolare. Offre alcuni spaccati di “vita comune” che, pur a volte estranei alla trama, sono ben inseriti nel romanzo pur pescando sempre nel dualismo oriente/occidente. Insomma una lettura piacevole che non ruba tempo.
Come non rubano tempo Borges, Simenon, Ellroy e Bolano tutti narratori di valore intrinseco.
Agli amanti del genere, che già conoscono il Commissario Montalbano o le opere “classiche” di Giorgio Scernabenco o di Fruttero & Lucentini per non dire Carofiglio o Lucarelli, suggerirei, per puro spirito campanilistico,” Bambine ” di Eraldo Baldini, ambientato nel mio paese natale ed “Un tranquillo paese di Romagna” di Carlo Flamigni.
Una segnalazione di riguardo, invece, per Osvaldo Soriano ed il suo ” Triste, solitario y final” (Ed. Einaudi), non è propriamente un “poliziesco”, mescola Marlowe, Stan Laurel e John Wayne. Miti di cartapesta presi a torte in faccia.
- Fotografia come esclamazione di vitalità - 19/08/2016
- La Thailandia, la zucca e… il peperoncino - 11/08/2016
- Hiroshima, la bomba di Dio - 06/08/2016