In Africa si trova il 99% del cromo presente sul pianeta, l’85% del platino, il 68% del cobalto, il 54% dell’oro, altri minerali presiozi e ingenti riserve di petrolio. La Cina ha necessità di materie prime per sostenere il volano della sua crescita economica, ed è quindi ovvio che vi veda un continente dove investire.
E che la Cina in Africa investa è un dato di fatto, dato che il volume totale delle transazioni commerciali sino-africane è passato dai 10 bilioni di dollari nel 2000 ai quasi 200 bilioni annui odierni. Una conferma di ciò può essere trovata nel fatto che il primo viaggio diplomatico del neo-presidente Xi Jinping abbia avuto come meta proprio il continente africano, e ciò segue il prestito di 20 bilioni di dollari che il presidente precedente, Hu Jintao, concesse ai paesi africani nel corso del Forum di Cooperazione tra Cina ed Africa del 2012.
Gli analisti, in merito agli investimenti cinesi in Africa, si dividono principalmente in due scuole: la prima sostiene trattarsi, riprendendo le parole di Hillary Clinton, di “neocolonialismo” finalizzato solo a spogliare il continente nero delle sue risorse, ignorando i più elementari diritti umani. La seconda scuola invece, più ottimisticamente, mostra come i cinesi stiano investendo con un’ottica win-win in settori come la finanza ed il commercio prima ancora che in quello minerario. Tutti in ogni caso concordano sul fatto che la Cina stia dotando i paesi africani di industrie ed infrastrutture. Va detto inoltre che secondo alcuni esperti la costruzione di scuole ed ospedali sarebbe un metodo per tacitare le nascenti proteste africane, per le condizioni di lavoro alle quali i lavoratori locali sarebbero sottoposti dalle compagnie cinesi.
La Cina di fatto è per i paesi africani un modello, venendo apprezzata per la non ingerenza nelle questioni interne, sebbene Pechino stia valutando eventuali modifiche a questa politica. Infatti, come nel caso del Sudan, l’assenza di stabilità potrebbe gravemente danneggiare i rilevanti interessi cinesi. La Cina inoltre tenta di investire in paesi non ricchi di materie prime, come lo Zambia, e di creare un rapporto di fiducia con le classi governanti; questo ha permesso alla Cina di diventare il più importante finanziatore del continente e di superare, dal 2009, gli USA come principale partner economico dell’Africa.
Ovviamente questo attivismo cinese in Africa non è ben visto dai paesi occidentali, così come dalle istituzioni economiche ad essi collegati, come nel caso del Katanga allorchè il Fondo Monetario Internazionale intervenne, nel momento in cui la Cina stava per investirvi massicciamente, accusando Pechino di violare i regolamenti relativi ai programmi di rimborso del debito estero. L’espansione cinese in Africa è monitorata dagli USA tramite AFRICOM, il comando africano del Pentagono, creato nel 2007 da George W. Bush, che nel 2008 incorporò la Trans-Saharian Counterterrorism Initiative. Il che ci riporta al recente intervento occidentale in Mali, da Pechino sopportato più di quanto non sia stato condiviso, e che alcuni commentatori vedono come un vero e proprio avvertimento alla Cina.
Una situazione quindi densa di futuri sviluppi dove Cina e USA si trovano a confrontarsi in un continente ancora alla ricerca di una sua strada, e che spera Pechino non ripeta gli errori dell’Occidente.
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