Il rapporto tra l’islam e la Cina è antico, lo si può far risalire al VII sec. quando la religione islamica vi giunse tramite la Via della Seta (oltre che via mare dalle coste orientali). Questa importantissima rotta carovaniera è sempre stata luogo di scambio ed incontro tra la Cina e le popolazioni dell’Asia Centrale, nonché un elemento fondamentale nei rapporti con il mondo islamico.
Nella Cina confuciana vigeva il disinteresse per tutto quello che riguardava il commercio, e questo ha fatto sì che la coesistenza di arabi, persiani musulmani e popolazione locale fosse pacifica; per contro questo ostracismo ha comportato il rimanere di pochi scritti riguardanti l’islam, redatti in periodo decisamente più tardo. I musulmani erano visti ancor prima come “barbari da educare”, e il fatto che si cercasse di sinizzare (ossia far diventare cinese) l’islam ha lasciato profonde conseguenze.
Tuttavia, se l’interesse religioso per le culture provenienti da ovest era di fatto assente, non lo era quello politico-economico. Infatti le dinastie regnanti cinesi hanno più volte combattuto con i loro vicini occidentali per il controllo della Via della Seta. E battaglia importante, non solo per la Cina, fu quella che si combattè nel 751 sulle rive del fiume Talas (nell’odierno Kazakistan). La dinastia Tang era allora in guerra con il Tibet, che aveva recentemente occupato il bacino del Tarim, elemento fondamentale per il controllo della sezione centroasiatica della Via della Seta.
L’Asia Centrale era, a fasi alterne, un protettorato cinese, ed in occasione della guerra col Tibet, le truppe cinesi guidate dal generale coreano Gao Xianzh penetrarono in Transoxiana (corrispondente a gran parte dell’Uzbekistan ed alle regioni sud-occidentali del Kazakistan), venendo a contatto con le forze arabe; queste, rinforzate da contingenti turchi e provenienti dalla Persia, stavano espandendo la loro influenza verso est. La battaglia vide i cinesi sconfitti e segnò la definitiva islamizzazione dell’Asia Centrale e la rinuncia cinese al controllo della Via della Seta, in quella che fu una sorta di spartizione dell’area altaica. Un altra, e forse la più importante, conseguenza della battaglia del Talas fu la diffusione della carta, tramite prigionieri cinesi, nel mondo islamico e da lì in Europa.
Oggi il rapporto cinese con l’islam è conflittuale, al punto che la Cina ha fatto della lotta al fondamentalismo islamico una delle sue linee di condotta politica. L’islam cinese è in constante crescita, ed i timori di Pechino sono soprattutto legati alla regione autonoma del Xinjiang, dove la popolazione musulmana degli Uiguri, di etnia turca, è maggioritaria. Il conflitto tra Uiguri e autorità cinesi è una costante storica, al punto che la regione ha più volte tentato di rendersi indipendente da Pechino, come nel caso del “Turkestan orientale” tra 1911 e 1949. Le ribellioni degli Uiguri sono state numerose, di particolare rilevanza quelle nel XIX e XX sec., tra cui possiamo ricordare la sollevazione del 1990, poi repressa con le armi, a Barin, con l’occupazione del municipio ed il massacro dei funzionari cinesi. Dopo gli attentati di New York del 2001 la situazione sarebbe notevolmente peggiorata, al punto che gli Uiguri denunciano un vero e proprio tentativo da parte di Pechino di cancellare la loro etnia.
Ma Pechino è preoccupata anche per la possibile diffusione dell’islam radicale anche tra un’altra etnia di fede musulmana: gli Hui. Stabilitisi nel centro della Cina e discendenti da popolazioni mongole e turche migrate verso sud, gli Hui hanno sempre rappresentato un islam sinizzato, che non ha mai opposto resistenza, a differenza degli Uiguri, alle politiche religiose del governo, disinteressandosi della vita politica. Oggi anche tra gli Hui si nota un crescere del fervose religioso, e questo preoccupa le autorità cinesi.
La Cina si trova dunque ad affrontare una difficile scelta tra il pericolo di aumentare la radicalità dell’islam attraverso la repressione, oppure cambiare radicalmente le politiche in merito alla libertà religiosa delle sue minoranze, in particolare quelle di credo islamico. Resta il fatto che dal resto del mondo giungono ben poche voci a difesa dei diritti dei musulmani cinesi dello Xinjiang. Ma in fondo, Ürümqi non è Lhasa…
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