Come ho scritto alla fine del precedente post: l’elenco dei libri tradotti in italiano di autori thailandesi è completato.
A meno che nel tempo trascorso mentre scrivevo quest’ultimo post non sia stato pubblicato qualcosa di nuovo e questa ultima constatazione evidenzia come “le cose” siano sempre in movimento, anche se a volte impercettibile.
Parlando di libri e del mio desiderio di leggerli, sono emersi anche termini quali: “civiltà“ e “cultura” che, nel loro uso corrente, sommano più significati principali di diversa interpretazione.
Parlando di libri di scrittori thailandesi si sono aperte le strade che portano alla Religione, alla Storia ed alla Politica e forse in prossimi post sui “libri” cercherò di trattare gli argomenti aperti che, in sostanza, sono riassumibili in questo libro, scritto dall’autore thailandese di certo più amato e venerato in Thailandia: Sua Maestà Bhumibol Adulyadej, il Grande Rama IX (พระบาทสมเด็จพระเจ้าอยู่หัวภูมิพลอดุลยเดชมหาราช), Re di Thailandia (พระมหากษัตริย์ไทย).
Vivo in Thailandia da circa 3 anni e, come ho già detto, in una città del nord lontana dai grandi flussi turistici. Sì, io qui sono un “farang”, termine generico che comprende tutti gli “occidentali”: lussemburghesi e statunitensi, islandesi e cileni.
Il termine farang può piacere o meno, come il termine terrone, ma non è scontro di civiltà. È un’altra cosa.
In genere conosco thailandesi poveri, poco aperti alla curiosità di conoscere ma molto aperti al consumismo, più superstiziosi che colti. Tutti molto rispettosi della famiglia e dei suoi bisogni materiali, formali nelle occasioni ufficiali e nei rapporti con sconosciuti, ma allegri, sboccati e licenziosi nell’intimità di amici e parenti.
Di certo i thailandesi che conosco sono solo una piccolissima parte delle persone che popolano questa nazione. Di certo, caratterialmente, somigliano a tanti conoscenti ed amici che ho in Italia. Ma non posso dire di conoscerli molto intimamente e quel poco che conosco di loro, oltre ad essere soggettivo, appartiene ad una sfera più esteriore che interiore. Quindi posso solo immaginare che siano ancora oggi molto influenzati da “fattori culturali arcaici” misti ad altri “fattori culturali espressi dalla modernità”.
Quindi se mi si chiede: “Come sono i thailandesi?”, penso di poter parlare dei miei amici e conoscenti e non di un generico: “i thailandesi sono così“.
Forse è possibile proiettare alcune delle mie immagini in un ambito più ampio, in fondo tutti abbiamo usanze comuni derivanti dalla “civiltà” in cui siamo cresciuti, ma comunque resta un ambito limitato e non generico.
Nelle mie ricerche sul web ho anche letto articoli e blog di “farang” che, usando luoghi comuni, corbellerie e offese gratuite, raccontano storie di vita comune, violenza, incidenti, contrattempi, truffe, amori delusi ed amori felici. È il “Paese dei sorrisi”, venduto anche dall’Ente del Turismo Thailandese, che domina nell’immaginario di molti apologeti o insoddisfatti che siano.
Sono anche riproposizioni orientali di vicende comuni a qualsiasi latitudine o, come dice Jorge Luis Borges: “Non ci sono altro che tre temi, dall’inizio dei tempi: l’amore, la vita e la morte”.
Nella vita di tutti i giorni serve pragmatismo, sia che si tratti del troppo peperoncino nei cibi che del trattare l’acquisto di un oggetto o pagare la dote al padre della “sposa”. Certo, nella vita di tutti i giorni lo scontro (ma non di civiltà) a volte è inevitabile: si tratta di capire se, in queste eventualità, sia più comodo sfruttare la propria vera o presunta superiorità, rischiando di chiudere malamente la discussione, od offrire all’avversario una partita su di un piano di presumibile parità.
In “La psicologia del giocatore di scacchi” di Reuben Fine viene narrato un episodio accaduto al Grande Maestro Aleksandr Alechin, all’epoca Campione del Mondo. Durante un trasferimento in treno verso un torneo, Alechin si stava esercitando su di una scacchiera portatile. Uno degli altri occupanti lo scompartimento, vedendolo impegnato con una scacchiera, si offrì quale sfidante per una partita. Alechin accettò la sfida, dispose i pezzi sulla scacchiera. Assegnato il nero all’avversario, tolse la sua regina bianca dalla scacchiera e fece la prima mossa. Lo sconosciuto guardò il tutto con sorpresa e chiese: “Mi scusi, Lei non mi conosce, perchè mai toglie la sua regina dalla scacchiera ?” “Proprio perchè non la conosco”, rispose Alechin.
Tolgo la mia regina dalla scacchiera per pragmatismo e non presunta superiorità o compassione. Qui non si tratta di ritenersi, senza ragione, più forti. Siamo i più forti e dobbiamo confrontarci con un debole che non sa di esserlo.
Ma, se voglio confrontare e dare un voto alle “diverse civiltà” (anche se credo che la cosa non abbia alcuna logica utilità), il non togliere o togliere la propria regina dalla scacchiera nulla ha a che fare col pragmatismo, anche questo è un’altra cosa.
Non si tratta di modificare la mia identità culturale ma di riconoscere quella degli altri. Le diverse culture sono un “bene”, una risorsa della comunità e la loro scomparsa o assimilazione è un danno per l’umanità.
Poi sono il primo a testimoniare che non è semplice, ma almeno non è uno sterile lamento sui difetti degli “altri” o sulla mancanza di questo o di quello che “invece noi abbiamo”.
La società e la cultura thailandese [1] sono in movimento (come tutte), cambiano i “fattori culturali” e cambieranno anche i “luoghi comuni”, anche se solo sostituiti da nuovi. Ma un conto sono: “Pizza e mandolino” o “Popolo bufalo” ed un altro “Popolo civile”.
Ne “Lo zen e il tiro con l’arco” di Eugene Herrigel – Ed. Adhelpi -, l’autore racconta la sua esperienza in Giappone ed in particolare quella dello studio del tiro con l’arco con un maestro zen. Durante il corso di addestramento, per trovare la richiesta separazione tra gesto (lancio della freccia) e mente, utilizza espedienti mentali. Scoprendo i “trucchi” dell’allievo, il maestro interrompe le lezioni e rifiuta di proseguire l’insegnamento con grande dispiacere da parte dell’allievo che sapeva di aver “barato”.
“Il maestro dovette avvertire ciò che avveniva in me. In quel tempo, così mi riferì più tardi il signor Komachiya, aveva tentato di approfondire un’introduzione giapponese alla filosofia per trovare come potesse ancora aiutarmi partendo da un terreno a me familiare. Ma alla fine aveva messo da parte il libro infastidito e con la constatazione che ora poteva capire meglio come a uno che si occupava di tali cose dovesse riuscire estremamente difficile assimilare l’arte del tiro con l’arco.”
Fortunatamente per Herrigel, e per i suoi lettori, l’insegnamento poi riprese e ci ha lasciato questo piccolo esempio di come, a volte, sia difficile liberarsi della propria cultura e di come “confrontare culture diverse” sia solo una “inutile complicazione“.
Quel che serve, quindi, non sono gli argomenti ma la voglia di affrontarli (la voglia di conoscenza) e di ampliarli (il piacere di confrontarsi con gli altri) per non restare imprigionati nel proprio mondo. Cercare di uscire dai luoghi comuni da cui siamo di certo pervasi, meglio, di cui la nostra cultura di origine ci ha impregnato.
Come ho detto all’inizio del post, questo mio elenco dei libri di autori thailandesi tradotti in italiano è o sarà sicuramente da aggiornare. Sarò grato a quei lettori che vorranno, con un commento, aggiornarlo con le pubblicazioni che mi fossero sfuggite e con le future che verranno stampate.
Per finire, ringrazio l’amico Vilbres che nel lontano 1974 mi regalò Lo zen e il libro con l’arco ed oggi ha perso tempo per trovare ed inviarmi la citazione di Herrigel, che io ricordavo solo a memoria.
E ringrazio con immensa gratitudine Nicoletta, che non conosco personalmente, ma che con un commento ad un precedente post mi ha segnalato il blog di Marcel Barang, una piccola miniera d’oro tutta da esplorare … e perdonatemi se vi ho annoiato.
[1] Gli scrittori, poeti e giornalisti thailandesi non citati nei post sono centinaia, una miriade di voci che a volte fatica ad elevarsi oltre i confini della Thailandia. Qualsiasi commento teso ad implementarne la quantità è più che gradito. Mi piacerebbe anche stimolare “qualcuno” alla traduzione di testi (non necessariamente in italiano). Qui trovate l’interessante racconto di una traduttrice thai-inglese e siccome prediligo leggere poesie. Qui trovate i problemi nella traduzione di poesia thai.
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