Nei post precedenti ho detto delle difficoltà incontrate nel reperire libri di narratori moderni thailandesi tradotti in italiano. Di quale fosse stata la molla iniziale e di come questo mio desiderio di “conoscere” non poteva limitarsi ai “romanzieri”, un aspetto evidente della cultura thailandese è quello di essere, ancor oggi, influenzata da: tradizione, religione e monarchia.
Ma l’essere “un assieme di fattori” non è certo prerogativa esclusiva della cultura thailandese.
Per fortuna una parte di questa “storia” l’avevo già letta e conoscevo i suggerimenti per cercare di evitare quel che parrebbe inevitabile: “ lo scontro tra civiltà, culture diverse”.
Amartya Sen, all’epoca direttore del Trinity College di Cambrige, nel suo libro “Identità e violenza“ – Ed. Laterza – prende spunto dalla domanda che gli pone, in occasione di un suo ritorno in Gran Bretagna, un funzionario dell’immigrazione al controllo passaporti dell’aeroporto di Heatrow, constatando che risiedeva nella residenza del direttore del Trinity College, gli domandò se il direttore fosse un suo amico.
“La questione pratica alla fine si risolse, ma la conversazione servì a ricordarmi, se mai ce ne fosse bisogno, che l’identità può essere una faccenda complicata.” (Identità e violenza di Amartya Sen – Ed.Laterza)
“Gli eventi violenti e le atrocità degli ultimi anni hanno portato un periodo di terribile confusione e spaventosi conflitti. La politica dello scontro globale è spesso vista come un corollario delle divisioni religiose o culturali esistenti nel mondo. Il mondo, anzi, è visto sempre di più, quantomeno implicitamente, come una federazioni di religioni e civiltà, ignorando così tutti gli altri modi in cui gli esseri umani considerano se stessi.” (idem come sopra)
“La teoria dello scontro di civiltà presenta due problemi distinti. Il primo, forse il problema di fondo, riguarda la praticabilità e la rilevanza di un metodo di classificazione delle persone basato sulla civiltà a cui presumibilmente esse <appartengono>. L’altro viene dopo e riguarda l’idea che gli individui, suddivisi in tanti compartimenti ognuno corrispondente ad una civiltà, debbano in qualche modo essere antagonisti, che le civiltà a cui appartengono siano cioè reciprocamente ostili. Alla base della tesi di uno scontro di civiltà c’è un’idea molto più generale sulla possibilità di considerare le persone in primo luogo come membri di questa o quell’altra civiltà… La tesi dello scontro di civiltà, quindi, mostra i suoi limiti ben prima di arrivare a interrogarsi se sia effettivamente inevitabile – o anche semplicemente normale – che queste diverse civiltà (in cui viene rigorosamente suddivisa la popolazione mondiale) entrino in conflitto fra di loro…” (idem come sopra)
La mia “voglia di capire” non è altro, quindi, che un metodo per affrontare i “problemi” che anch’io nella vita di tutti i giorni ho nei rapporti con i thailandesi.
Ma di questo riparlerò più avanti.
Nel frattempo i libri ordinati ad Amazon erano arrivati ed ho potuto leggere:
“L’anno prossimo ritorno” di Rattawut Lapcharoensap (Ed. Frassinelli) , titolo originale: Sightseeing
I racconti di questo giovane autore, nato a Bangkok e residente negli Stati Uniti, risentono di una tecnica narrativa chiaramente “non thailandese” ma “occidentale”. Nonostante questo o forse per questo, i personaggi ed i luoghi assumono dimensioni più comprensibili da un occidentale.
“Una storia vecchia come la pioggia” di Saneh Sangsuk (Ed. ObarraO)
Saneh Sangsuk (เสน่ห์ สังข์ สุข) usa anche lo pseudonimo di Dan-Arun Saengthong (แดน อรัญ แสงทอง), titolo originale nell’edizione thailandese: เจ้า การะเกด (Chaou Karaket)
“Volevano sentire quelle storie ancora e ancora, perché l’anima dei bambini è strana: non fa differenza tra realtà, sogno e fantasia, perchè l’infanzia, a dire il vero, è di per sé un sogno fantastico. Quelle storie vecchie come la pioggia, il reverendo padre Tian le raccontava solo per ammazzare il tempo, per ingannare la noia.”
C’è molta Thailandia in questa storia: la superstizione, la religione, le tigri, i coccodrilli, i contadini, i comunisti, la natura cambiata dall’uomo, ma anche molta poesia e leggerezza.
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