Il paradosso di Papa Ratzinger

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Joseph Ratzinger

Le dimissioni di Papa Ratzinger, la Chiesa a un bivio

Joseph Ratzinger si è dimesso. E’ stato papa per meno di 8 anni. Aveva l’assai arduo compito di rimpiazzare un predecessore, Karol Wojtyla (Giovanni Paolo II), che da una decina d’anni a questa parte e’ divenuto oggetto di un sensazionale culto della personalità in Italia, Polonia, Filippine, Sud America e alcuni paesi africani. La fama del papa polacco è stata favorita da una serie di mutamenti epocali – in primis la caduta dell’Unione Sovietica e dei regimi autoritari dell’Europa Orientale – fatti passare dalla propaganda mediatica italo-vaticana come sue vittorie. Di fatto la gloria di Wojtyla è stata costruita, nel corso del suo lungo pontificato, soprattutto grazie ad una sovraesposizione mediatica senza precedenti. Anno dopo anno, telegiornale dopo telegiornale, l’influsso mediatico di Papa Giovanni Paolo II è stato di gran lunga più importante dei contenuti. Per Ratzinger, la storia ha avuto in serbo un destino ben differente.

Incapace sia di bucare lo schermo come il suo predecessore sia di sfruttare le nuovissime tecnologie comunicative, il tedesco ha sostanzialmente fallito nel proibitivo compito di non far rimpiangere Wojtyla ai suoi tanti ammiratori. Ha fallito per un oggettivo difetto di qualità, a partire dalla naturale timidezza alla personalità assai meno carismatica rispetto al polacco. Ma ha fallito anche a causa di una serie di scandali — dai casi di pedofilia a «Vatileaks», dalle indagini sulla scarsa trasparenza del sistema bancario vaticano alle polemica sulle tasse. 

Ratzinger ci ha messo anche del suo, inanellando un discreto numero di gaffe personali. Su tutte, basti citare l’Incidente di Ratisbona, nel 2006, quando inserì in un suo discorso una citazione offensiva per la sensibilità dei credenti musulmani:

«Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava».

Semplice fraintendimento o vera provocazione, sta di fatto che a poche ore dal discorso di Ratisbona fu uccisa una suora italiana in Somalia per mano di un gruppo di estremisti islamici.

Secondo il teologo Giovanni Battista Franzoni, con le dimissioni Ratzinger avrebbe semplicemente «preso atto della propria incapacità nel gestire le furiose lotte di potere esplose nella Chiesa. Per questo ha mollato, dopo otto anni di insuccessi e di scandali».

Ratzinger ha le sue colpe e potrebbe veramente aver deciso autonomamente di abbandonare il trono e la ferula per liberarsi dal peso del suo ruolo e, seppur solo in parte, dalle sue responsabilità. Questa decisione è stata e verrà inevitabilmente descritta come “moderna” o addirittura “rivoluzionaria” dalla stampa cortigiana italiana, polacca e papista in genere. Ma osservando la vicenda da un’altra prospettiva, è anche vero che con l’inaudito gesto Ratzinger ha cambiato la sua storia: sarà ricordato come “il papa che si è dimesso”, non come il monarca vecchio, stanco, incapace di portare avanti le necessarie riforme di un’istituzione decrepita e macchiato dai terribili episodi di pedofilia avvenuti all’interno della sua Chiesa.

Allo stesso tempo, è lecito ipotizzare che, per le gerarchie vaticane, Ratzinger potrebbe rappresentare un utile capro espiatorio. Per il tedesco, uomo ultra-conservatore ma intelligente, le circostanze storiche si sono rivelate assai meno rosee di quelle del suo predecessore. Si è trovato a guidare la Chiesa nella difficile fase post-wojtyliana, segnata pesantemente dallo scandalo pedofilia e costellata dalle aspre critiche provenienti soprattutto dalla stampa anglosassone. Con le sue dimissioni, e magari con l’elezione di un papa piùgiovane, ma soprattutto più simpatico e “moderno”, il Vaticano potrebbe puntare su di un cambio di immagine per distogliere l’attenzione del pubblico da scandale e nefandezze, nella speranza di ripulire la reputazione del cattolicesimo dal fango e dal tanfo dei troppi scandali.

Fin qui si tratterebbe di un’ottima operazione di marketing. Ma le religioni non sono (solo) aziende. Al contrario, le dimissioni di un papa rappresentano un evento quasi senza precedenti nella storia plurimillenaria dell’organizzazione che risponde al nome di Chiesa Cattolica Apostolica Romana.

Questa vicenda cozza maggiormente con la tradizione cattolica in quanto le dimissioni arrivano immediatamente dopo il lunghissimo e superbamente mediatizzato “calvario” patito da Wojtyla. Gli stessi personaggi, salotti e giornali che oggi tessono le lodi di Ratzinger, all’epoca utilizzavano il loro inchiostro o il loro spazio nelle televisioni pubbliche e private per spiegare a fedeli e laici che il sacrificio di Wojtyla era doveroso: era “volontà del Signore!” Ai pochi che facevano timidamente notare che un capo politico-religioso in quelle condizioni avrebbe fatto meglio a dimettersi, coloro rispondevano che “il rappresentante di Cristo in terra deve portare la croce”, o che “il Santo Padre è il padre dei fedeli, e un padre non può certo dimettersi!”, ed altri sofismi e insensatezze del genere.

Ora invece si scopre che il papa può tranquillamente dare le dimissioni come qualunque altro capo di stato e come qualsiasi lavoratore.

Ipocrisia a parte, il punto è che il “gran rifiuto” di Ratzinger rischia di togliere quel velo di “magia” che le organizzazioni religiose, le teocrazie e le monarchie utilizzano per incantare le masse e creare quell’egemonia culturale senza la quale non avrebbero ragione di esistere. La “magia” delle religioni si basa su riti, tradizioni, arcani e dogmi di fede. Desacralizzando e “normalizzando” la figura del papa, riducendo questo ruolo quasi ad un lavoro dal quale ci si può dimettere per malattia, vecchiaia o altre ragioni personali, c’è il rischio di erodere l’illusione di sacralità che il leader supremo della più potente istituzione politico-religiosa degli ultimi due millenni deve necessariamente pretendere di possedere.

Nel caso di Ratzinger, i fedeli si sono anche sentiti dire che il papa, “infallibile”, è stato “scelto da Dio”, ma ha poi deciso “personalmente” di dimettersi. Se un osservatore volesse, per una volta, utilizzare un grammo di ragione, noterebbe un pizzico di incongruenza.

Siamo arrivati, dunque, al vero nodo gordiano dell’egemonia culturale vaticana nel Ventunesimo secolo. Fino a che punto le religioni, le credenze e le superstizioni possono evolversi con l’evolvere della società umana? La loro “modernizzazione”, cioè il loro cercare di tenersi al passo coi tempi, rischia inevitabilmente di apparire come un perenne arrancare all’inseguimento di una realtà sociale sempre più avanzata e in definitiva irragiungibile, come nel paradosso della freccia di Zenone? Non rischia, dunque, l’eruzione di modernità provocata dalle dimissioni del papa, di mettere solamente a nudo le irrazionalità ancestrali sulle quali si basano le religioni, e di conseguenza erodere la “magia” che incanta le masse?

Il prossimo pontefice dovrà confrontarsi con le sopracitate contraddizioni. Si tratta sostanzialmente di scegliere tra continuare ad avere una Chiesa come quella di Wojtyla e Ratzinger — potente, gerarchica, dogmatica, controriformista, antimoderna, e dunque lontana dalla realtà e dai bisogni di una società in sempre più rapido mutamento —, o al contrario cercare di traghettare questa istituzione verso una posizione più “moderna” (mi si passi il termine) e dunque necessariamente meno dogmatica, meno ingerente, meno prepotente, e in definitiva meno potente e rilevante di quella attuale.

Il paradosso di Ratzinger, papa ultra-conservatore che aveva irrigidito la Chiesa fino a favorirne spaccature e lotte intestine, è di aver terminato il suo papato con un gesto radicale destinato a cambiare la Chiesa per sempre. Si spera in meglio.

Alessio Fratticcioli

About Alessio Fratticcioli

Alessio è il fondatore e amministratore di Asiablog.it (anche su Facebook e Twitter). Per saperne di più su questo buffo personaggio, la sua lunga e noiosa biografia si trova qui.
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