LONDRA (Asiablog) – L’Asia Centrale sta assumendo sempre più un ruolo centrale per la Cina, come dimostrato dal “tour” di settembre del vice presidente Hui Liangyu nelle cinque repubbliche ex-sovietiche. Nonostante i riflettori siano puntati sulle questioni territoriali cinesi ad est (con il Giappone per le isole Diaoyu/Senkaku) e sud (con le Filippine per la zona di Huangyan Island/Panatag Shoal), anche l’area centroasiatica potrebbe in futuro diventare problematica per Pechino. L’Asia Centrale è infatti da sempre teatro di quello che e’ stato definito il “grande gioco”, ossia il confronto, quando non lo scontro, tra la Russia e gli Stati Uniti, che hanno soppiantato l’Impero britannico. La Cina rischia di presentarsi come terzo incomodo, suscitando le reazioni degli altri due attori geopolitici.
Gli intreressi che spingono Pechino alla penetrazione in Asia Centrale sono molteplici. Innanzitutto c’è quello economico, dato che la regione è ricca di gas e petrolio dei quali la Cina ha assoluto bisogno per sostenere la sua crescita economica. Il simbolo di tale penetrazione può essere visto nella Central Asia Gas Pipeline che porta al colosso asiatico il gas turkmeno attraverso appunto Turkmenistan, Uzbekistan e Kazakistan. Inoltre la Cina viene rifornita di petrolio kazako tramite l’Atyrau-Alashankou oil pipeline. Notizia recente vuole che Pechino abbia proposto la realizzazione di una condotta che faccia transitare il gas turkmeno anche tramite Kirghizistan e Tagikistan, tra le cinque repubbliche sicuramente quelle più povere.
Proprio questi due ultimi paesi rischiano di evidenziare lo scontro economico tra Russia e Cina. Infatti Mosca sta spingendo per allargare nell’area l’unione doganale da lei creata, con l’intenzione di arrivare ad un vero e proprio spazio economico comune. Tale unione rischia di influenzare negativamente il commercio cinese in Asia Centrale, il cui volume dal 2010 ha superato quello dell’Unione Europea, e tocca particolarmente Tagikistan e Kirghizistan che sono grandi acquirenti di prodotti cinesi ma allo stesso tempo paesi di forte emigrazione verso la Russia.
Russia e Cina sono tuttavia partner nella SCO (Shanghai Cooperation Organisation), una sorta di NATO centroasiatica attraverso la quale Pechino cerca di difendere i propri confini ed allo stesso tempo penetrare politicamente in Asia Centrale. La SCO è fortemente caratterizzata contro il panturchismo, un aspetto che unisce Pechino a Mosca nella difesa da penetrazioni islamiste che, nel caso cinese, potrebbero avere profonde implicazioni nello Xinjiang. La SCO permette inoltre un controllo dell’instabilità dell’area dove a stati che scelgono la più assoluta indipendenza da Mosca (Turkmenistan) ve ne sono altri che si pongono come tramite (Kazakistan) e altri ancora che con la Russia hanno una politica clientelare (Tagikistan e Kirghizistan).
Una menzione a parte merita l’Uzbekistan, da sempre ambiguo nella sua poltica estera che nonostante il recente (e non primo) abbandono della SCO ha firmato con Pechino accordi per istituire, a Jizzakh, una zona economica speciale (SEZ) dal marzo 2013, seguendo le aperture agli investimenti stranieri che il governo uzbeko ha messo in essere dal dicembre 2012. Da segnalare anche il prestito di 50 milioni di dollari fatto dalla China Development Bank.
All’ultima conferenza SCO era presente anche Karim Khalili, vice presidente afghano, che ha chiesto aiuto per la ricostruzione del paese. E proprio quella afghana rischia di essere una questione che potrebbe mutare gli equilibri geopolitici dell’Asia Centrale. Dopo l’annunciato ritiro americano del 2014 la Cina avrà da un lato una maggiore minaccia di penetrazione islamica radicale nello Xinjiang ma dall’altro potrà sfruttare le risorse afghane, come sta già iniziando a fare con l’estrazione petrolifera nella provincia di Sar-e-Pul ad opera della China National Petroleum Corporation, e con lo sfruttamento dei giacimenti minerari di Aynak, nella provincia di Logar, da parte della China Metallurgical Construction Corporation.
In conclusione il rapporto futuro tra Cina ed Asia Centrale si preannuncia intenso, e se la Russia allo stesso tempo attrae e respinge i paesi centroasiatici e gli Stati Uniti sono accolti freddamente per le loro ingerenze nella politica interna centroasiatica, il Paese del Dragone potrebbe rivelarsi una terza via per le cinque repubbliche ex-sovietiche.
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