Si apre in Thailandia il processo sulla morte del reporter italiano: secondo le indagini preliminari fu l’esercito a sparare
Bangkok – Si e’ aperta ieri (lunedi 23 luglio) nella capitale thailandese la prima udienza del processo sulla morte di Fabio Polenghi, fotoreporter freelance milanese ucciso il 19 maggio del 2010 nel cuore di Bangkok.
I FATTI- Polenghi perse la vita mentre testimoniava l’assalto dell’esercito contro le cosiddette Camicie Rosse, i manifestanti anti-governativi che da settimane occupavano il centro della capitale per chiedere le dimissioni del primo ministro e l’indizione di nuove elezioni. Al momento in cui venne colpito a morte, il fotoreporter si trovava all’incrocio tra viale Ratchadamri e via Sarasin, vicino al grande parco Lumpini. La zona, che era stata a lungo territorio dalle camicie rosse, quella mattina venne attaccata violentemente dai soldati che forzarono le barricate e costrinsero i manifestanti alla fuga.
LE BUGIE – Inizialmente, il primo ministro thailandese Abhisit Vejjajiva e il vice primo ministro Suthep Thaugsuban sostennero che a uccidere Polenghi fu una granata lanciata da un “terrorista” che combatteva dalla parte dei manifestanti. Secondo le due autorità thailandesi, entrambe appartenenti al monarchico, conservatore e filo-militare Phak Prachathipat (Partito Democratico), l’italiano sarebbe morto “al fianco” di un soldato, entrambi vittime di manifestanti armati.
INDAGINI – Al contrario, stando alle conclusioni dell’indagine preliminare svolta dalla polizia metropolitana di Bangkok, ad uccidere il giornalista italiano non fu una granata ma un’arma ad alta velocità in dotazione all’esercito. Polenghi è morto a causa di un proiettile che ha perforato il cuore e ha causato danni ai polmoni e al fegato. Per arrivare a questa conclusione, esposta ieri nella prima udienza del procedimento giudiziario, il team guidato dal colonnello di polizia Suebsak Pansura ha studiato le foto, i filmati e i risultati dell’autopsia e li ha confrontati alle testimonianze di ben 47 testimoni oculari. “I soldati avanzavano sparando orizzontalmente, non in aria,” ha testimoniato Suebsak.
“SOLO L’INIZIO” – Elisabetta, la sorella di Fabio, che ha trascorso gli ultimi due anni chiedendo coraggiosamente giustizia, nei giorni scorsi è tornata a Bangkok per seguire l’udienza in prima persona. “Posso dire con certezza – ha spiegato la donna – che le autorità thailandesi hanno fatto di tutto per rallentare le indagini ed è stato difficile e lungo arrivare dove siamo oggi. Questo, però, è solo l’inizio.”
LA REPRESSIONE – Nei due mesi di proteste e scontri che infiammarono la metropoli thailandese nella primavera del 2010 persero la vita 91 persone. Tra le vittime straniere, oltre al nostro Polenghi, anche il cameraman giapponese della Reuters Hiroyuki Muramoto. Altre 2mila persone rimasero ferite. Circa 36 edifici vennero dati alle fiamme dalle camicie rosse in ritirata.
LA RISCOSSA – Nel frattempo, col voto del luglio 2011, il popolo thailandese ha punito il governo responsabile del blitz militare e ne ha eletto un altro guidato da Yingluck Shinawatra, prima donna a ricoprire la carica di primo ministro nella storia della Thailandia. Yingluck e’ l’affascinante sorella minore dell’ex primo ministro Thaksin Shinawatra, deposto da un colpo di stato monarchico-militare nel 2006 e che da allora vive in esilio all’estero. Yingluck guida un governo vicino alle camicie rosse e per questo maggiormente disposto ad accertare le responsabilità riguardo alla “forza eccessiva” utilizzata durante la repressione militare di due anni fa. Il governo ha varato una legge per risarcire tutte le vittime della violenza politica degli ultimi anni.
VERITA’ – Elisabetta, in una video intervista rilasciata ieri al sito web thailandese Prachatai.com, ha dichiarato di aver ormai sviluppato un interesse per le vicende di questo paese asiatico. “Mio fratello e’ stato ucciso qui, quindi mi sento parte della Thailandia,” ha detto. Non cerca vendetta, questa donna forte, ma pretende risposte. “Non desidero che nessuno finisca in galera, ma la verità e’ molto importante.” Il giudice ha fissato al 17 settembre la data per la prossima udienza, nella quale inizieranno le testimonianze.
IMPUNITA’ – I generali dell’Esercito Reale della Thailandia hanno una lunga storia di impunità. Nonostante si siano resi colpevoli di 18 colpi di stato in 80 anni e di una lunga serie di massacri contro la popolazione civile, i cui episodi più sanguinosi sono quelli del 1973, del 1992 e appunto quello del 2010, nessun responsabile ha mai finito per essere condannato da un tribunale.
Per queste ragioni, l’importanza del processo Polenghi va oltre la legittima sete di giustizia e voglia di verità della sua famiglia. In gioco c’e’ anche il processo di democratizzazione di questo paese asiatico, che non può continuare a tollerare l’impunità e i privilegi atavici di cui godono le massime cariche dello stato e delle forze armate.
Alessio Fratticcioli [ Blog | Twitter | Facebook ]
Scritto per Giornalettismo, 24 luglio 2012