Italiani in Asia – Nuovo appuntamento con la sezione di Asiablog dedicata a interviste e opinioni di connazionali in Oriente. Dopo aver presentato Marco Ferrarese, dottorando, rocker e globetrotter basato in Malesia, e Alessandra Colarizi, giovane sinologa romana a Pechino, oggi e’ la volta di un ennesimo giovane italiano, Furio, trasferitosi nel continente più grande e popoloso al mondo.
Furio lavora in Cina dal 2010. Nel tempo libero cerca di non prendersi troppo sul serio e cura il sito Sapore di Cina (www.saporedicina.
A seguire l’intervista di Asiablog al nostro simpatico connazionale.
Ciao Furio, come va?
Benissimo, grazie Alessio, e tu?
Bene, Furio, e grazie per la tua disponibilità.
E’ un piacere.
Dunque, veniamo al sodo: parliamo della tua esperienza. Quando e perché ti è venuta la voglia o e’ sopraggiunta la necessità di lasciare l’Italia?
Alla veneranda età di ventitré anni non ero mai stato all’estero e l’unica lingua che conoscevo era l’italiano. Stavo per iniziare l’ultimo anno d’università, mi sono guardato allo specchio e mi sono detto: “O adesso o mai più.” Così nel 2005 ho compilato il formulario per l’Erasmus e ho lasciato l’Italia. Sei mesi più tardi i francesi mi hanno offerto un contratto per continuare a lavorare al progetto iniziato durante la tesi di laurea e ho accettato.
Perché proprio in Cina e cosa fai esattamente?
Una risposta razionale non ce l’ho… C’è chi sogna di andare a Copacabana e chi a Los Angeles. Io, con i primi soldi che ho guadagnato ho comprato un biglietto Parigi-Pechino e, appena sbarcato, sono andato a vedere la Grande Muraglia. Stroncato dal fuso orario e in balia di un tassista furioso che tentava il suicidio a ogni curva sulla mulattiera che porta a Mu Tian Yu, mi sono chiesto se ne valeva la pena. La risposta è sì.
Ma una vacanza non mi bastava, così nel 2010 mi sono trasferito in Cina nonostante i francesi mi avessero offerto un – rarissimo di questi tempi – contratto a tempo indeterminato. Quando ho annunciato: “Hey, vado in Cina!” la maggioranza dei colleghi ha pensato che ero pazzo.
Quest’anno lavoro per un’impresa cinese ma cosa faccio esattamente non ve lo dico. Non che sia un segreto industriale, però ogni tanto mi diletto a (s)parlare dei miei colleghi sulla versione inglese del mio blog e allora mi tengo sul vago per preservare l’armonia tanto cara a noi abitanti della Terra di Mezzo.
Ti capisco benissimo, Furio. E com’è stata la tua integrazione in una realtà così differente da quella italiana?
Oh, io non mi sento integrato affatto. D’altronde, non mi sentivo tale neanche in Francia. Diciamo che mi adatto. Sto imparando la lingua (o almeno ci provo), tutte le ragazze che ho avuto da quando sono arrivato erano cinesi (well, non esattamente, ma quasi), non mi scompongo più di tanto se qualcuno mi rutta in faccia o mi scatarra sui piedi, mangio con le bacchette (questa è facile eh!). Poi ogni tanto capitano quei giorni in cui mi chiedo “Ma chi me lo ha fatto fare?”
Ah ah, e’ si, quei giorni arrivano sempre per noi poveri “esuli”. Ma quel’e’ l’ostacolo principale per un italiano in Cina?
La cultura della faccia. Gli asiatici farebbero di tutto pur di non perdere la faccia. Per cui capita di chiedere per strada dov’è la stazione della metro e ti rispondono “a destra” anche se non lo sanno: ammettere di “non sapere” equivarrebbe a perdere la faccia. Mi chiedo come avrebbe reagito Socrate.
La paura di “perdere la faccia” e’ un qualcosa di molto sentito anche in altre culture orientali. Ci puoi fare un altro esempio di come la “faccia” condiziona la vita dei cinesi?
Gli esempi potrebbero essere infiniti. Tanto per dirne uno, per paura di essere rifiutati, i ragazzi sono talmente terrorizzati di chiedere a una ragazza: “Hey, hai voglia di prendere un caffè con me?” che le ragazze occidentali in Cina si lamentano continuamente di “non trovare un ragazzo.” Sì, mi rendo conto che questa è una generalizzazione feroce, però è matematica: i diavoli bianchi vanno dietro le cinesi (io per primo) mentre i cinesi non fanno una mossa con le occidentali che, a parte le più belle o fortunate, restano all’asciutto.