Il 31 gennaio del 1943 a Stalingrado il generale tedesco Friedrich Paulus si arrende all’Armata Rossa. La città sovietica aveva resistito ad un assedio cominciato nell’agosto del 1942.
Quella di Stalingrado fu una battaglia gigantesca — vi parteciparono 2,2 milioni di persone — e una delle più tremende della storia dell’umanità. Soldati e civili sovietici combatterono gli invasori strada per strada e casa per casa, in quella che i tedeschi chiamavano dispregiativamente Rattenkrieg, la guerra dei topi.
I sacrifici furono enormi. Secondo i dati d’archivio, l’URSS perse 1.129.619 uomini: 478.741 morti o dispersi e 650.878 feriti o malati. I sovietici persero anche 4.341 carri armati (distrutti o danneggiati), 15.728 pezzi di artiglieria e 2.769 aerei da combattimento.
Gli invasori persero circa 850.000 uomini tra feriti, uccisi, catturati: 400.000 tedeschi, 200.000 rumeni, 130.000 italiani e 120.000 ungheresi. Le Forze dell’Asse persero anche 900 aerei, 500 carri armati e 6.000 pezzi di artiglieria.
Stalingrado segnò una svolta, psicologica prima ancora che militare, per le sorti della Seconda Guerra Mondiale, dimostrando che l’esercito tedesco non era affatto invincibile: poteva essere sconfitto e, nel giro di due anni e tre mesi, sarebbe stato annientato.