Inauguriamo una nuova sezione di ASIA BLOG dedicata a interviste e opinioni di Italiani in Asia con una chiacchierata con Marco Ferrarese, poliedrico personaggio che ha lasciato l’Italia per l’Oriente nel 2007. Senza anticipare nulla della lunga chiacchierata, che abbiamo dovuto spezzare in più parti, ci auguriamo che questa nuova sezione possa aiutare a chiarire dubbi, confermare opinioni e aiutare chi dall’Italia stia pensando di trasferirsi in Oriente per affari, viaggi, amori o quant’altro… buona lettura!!
Intervista di Alessio Fratticcioli – Fotografie di Kit Yeng Chan
Ciao Marco, come stai?
Ciao Alessio, sto abbastanza bene a livello di salute fisica, ma molto stanco a livello mentale e avrei bisogno di una lunga, lunga, lunga permanenza in viaggio.
Ti capisco, Marco, e conoscendoti la tua voglia di viaggiare non mi sorprende. Ma prima di parlare di viaggi, presentati.
Certo. Sono nato nella triste Voghera, provincia di Pavia, e ho studiato li’ sino all’universita’, che ho fatto alla Statale di Milano, una laurea in Lingue e letterature straniere, Inglese e Spagnolo. In Italia prevalentemente suonavo e ho partecipato attivamente nella costruzione delle scene punk basso pavesi, milanese, piacentina e torinese. Ho suonato la chitarra per 10 anni nei The Nerds Rock Inferno, con cui ho pubblicato tre dischi, molti sette pollici, e innumerevoli pezzi su compilations apparse in tutto il mondo, dall’Europa al Sud America, dagli Stati Uniti all’ Australia. Abbiamo fatto innumerevoli tour europei e due tour degli USA, nel 2005 e nel 2006. Per il resto, ho iniziato a scrivere racconti horror e splatterpunk da giovanissimo, e attorno ai 18 anni ho frequentato abbastanza il circolo della “Gioventu’ Cannibale”, ma la musica era comunque la prima occupazione, non tanto redditizia da essere un vero lavoro, ma intensa prima passione nella vita. Ho collaborato con molte etichette, tra cui Scarey Records e Cruz del Sur Music (con cui lavoro a distanza tutt’ora) in Italia e tante altre in altre parti del mondo. Tutto quel che facevo, i lavori stagionali, i turni in fabbrica, gli studi, erano subordinati alle attivita’ musicali. Quando dopo 10 anni i Nerds sono finiti, si e’ sfasciato un po’ tutto e ho dovuto cercare altri stimoli.
Che facevi in Italia quando hai deciso di trasferirti?
Ti ho parzialmente gia’ risposto: lavori musicali in forma di copywriting web e creazione di siti internet per bands ed etichette – tra cui Scarey Records ed EU 91 Serbian league di Giulio the Bastard, cantante dei celebri Cripple Bastards – qualche lezione privata di inglese, un po’ di supplenze varie di spagnolo in licei della mia zona, e suonare. Una vita fnanziariamente dura. Dopo un tentativo di trasferirmi a Chicago, fallito con il fallimento umano dei miei sogni a stelle e strisce e una rinata consapevolezza di quello che volevo, ho fatto un corso CELTA per specializzarmi nell’insegnamento di Inglese a stranieri e ho trovato lavoro in Cina per caso giocherellando a spedire curriculum tra i vari annunci di siti per professori di Inglese.
In che aree del mondo hai viaggiato prima di arrivare in Oriente?
Stati Uniti, che ho girato intensamente seguendo gruppi locali come roadie e suonando con la mia band, ed Europa, per lo stesso motivo. A parte il Giappone, che ammiravo per i manga e le animazioni, per me l’Oriente non esisteva. Nulla esisteva a parte i mondi dove c’era del punk rock o del metal di qualita’, e nei quali gia’ mi muovevo. Non facevo mai vacanze, andavo in tour. Quella per me era una vacanza.
Con quali aspirazioni e con quali desideri hai abbandonato l’Italia?
Con il desiderio di stare meglio, scrvere di piu’, e non tornare in Italia per almeno tre anni, e senza prendere l’aereo. Il quarto desiderio non si e’ancora realizzato, ma credo succedera’ presto.
Molti di questi si sono realizzati?
Si, in parte, si e da gennaio 2012 con il mio Journey to the West.
Ci vuole del coraggio ad abbandonare la propria citta’ e iniziare una nuova vita in un paese cosi lontano, qual’e’ la molla che ti ha spinto a trasferirti/partire?
La mia città e’ tendenzialmente una merda bigottocratica, abitata da gente che nel 90% dei casi e’ abbiettamente mediocre, quindi non c’e’ stato nessun problema ad andarsene. Quando sono partito, la mia città era Torino, da circa un paio d’anni. Un posto un po’ migliore, ma sempre con i soliti problemi dell’Italia di oggi. Ad ogni modo, non trovando lavoro in Italia, ed essendomi fermato piu’ a lungo del previsto per via della band, una volta libero dal giogo musicale ho trovato naturale e necessario levare le tende. Un vero bisogno di allontanarsi da una non-vita italiana.
Quali sono state le reazioni dei tuoi familiari e amici davanti alla tua decisione di trasferirti?
I miei familiari erano incuriositi e anche abbastanza fieri del fatto che il proprio figlio partisse per la Cina per insegnare Italiano in una universita’, sembrava una ottima occasione. La Cina di quattro anni fa comunque non era la destinazione student-friendly e freakkettona che e’ oggi per i numerosissimi studenti di lingue orientali in Italia, e c’erano alcune riserve, che terminavano con un semplice “se non ti trovi bene, torna a casa”. Dopo oltre quattro anni, col fatto che a casa non ci sono ancora mai tornato, la mia famiglia si e’ ormai adattata alla mia distanza ed e’ venuta a trovarmi due volte, una in Cina, ed una in Malesia.
Riguardo agli amici… che delusione. La maggior parte mi diceva che sarei tornato da li’ a poco con la coda tra le gambe. Altri ridevano appena sentivano la parola Cina, o mi dicevano che ero matto. “Ma non ti manca il cibo? Ma tanto ritornerai, come quello la’ che e’ stato due anni a Los Angeles e adesso vive con mamma e papa’ a 35 anni…”
Mi sono reso conto poco dopo che i miei amici non erano poi cosi’ “amici”. Ad oggi, le persone che si sono interessate a me si contano sulle dita di una mano monca. In quattro anni, nemmeno una email… troppi, troppissimi. Questo mi ha fatto capire che meglio solo, che male accompagnato. Spero che pensando a qualcuna delle mie avventure, questi amici usino risa e sorrisi di apprezzamento per nascondere invece una grande, lacerante invidia. Recentemente uno mi ha scritto dopo anni per dirmi che ho fatto benissimo a trasferirmi in oriente, che l’Italia fa schifo e che lui non ha le palle per fare quel che faccio io. Saro’ forse sadico, ma queste notizie mi fanno un po’ godere, e ripagano i momenti difficili in cui inevitabilmente mi sono trovato in questi ultimi anni.
CONTINUA: La Scimmia d’Oriente: intervista a Marco Ferrarese (Parte 2)