Il 19 settembre del 2006 fa il governo della Thailandia, eletto democraticamente dal 60,7% dell’elettorato, fu deposto da un colpo di stato militare. In quel martedì di 5 anni fa, i carri armati per le strade di Bangkok pretendevano di schiacciare la volontà popolare espressa da 16 milioni di cittadini, soprattutto lavoratori della capitale e masse rurali del nord del paese.
Il regime militare sciolse governo e parlamento, abolì la “Costituzione del Popolo” del 1997 e cerco’ di sradicare la cultura democratica thailandese con la paura, la propaganda, la censura, la violenza, l’imprigionamento di deputati e leader politici e le intimidazioni ai semplici simpatizzanti.
Ma si trattava di un tentativo antistorico e perciò destinato al fallimento: non si può rovesciare un processo decennale di democratizzazione quando le masse sono oramai consce dei loro numeri e sono disposte a lottare e sacrificarsi per i propri diritti.
Come scrive il Prof. Andrew Walker, a 5 anni di distanza, gli unici due risultati del colpo di stato sono che (1) Thaksin Shinawatra è oggi più forte che nel 2006; e (2) l’autorità della Corona è ridotta. “Non proprio ottimi risultati per i golpisti”, scrive Walker, “ma forse non abbastanza negativi per impedire loro di riprovarci”.
Un terzo punto, a mio modesto avviso, è che Thaksin, nonostante sia paradossalmente più forte che nel 2006, oggi sa però che esiste un altro blocco di potere, che va da qualche caserma dell’esercito a qualche stanza del Palazzo Reale, che non è meno forte di lui. Ergo, Thaksin oggi è cambiato, è meno arrogante e più maturo, e soprattutto è meno ambizioso e più disposto a fare compromessi. Compreso quello più duro da digerire: restare in esilio all’estero. Ma fino a quando?