Bangkok – A una decina di giorni dalle elezioni generali del 3 luglio, il primo ministro thailandese Abhisit Vejjajiva, molto indietro nei sondaggi rispetto all’opposizione, ha scelto di attaccare i rossi al cuore organizzando una manifestazione a Ratchaprasong.
ZONA ROSSA – Ratchaprasong, un’area commerciale al centro di Bangkok, e’ il luogo dove nella primavera dello scorso anno le camicie rosse rimasero accampate per settimane nel tentativo di spingere Abhisit alle dimissioni, fino a che l’intervento dell’esercito causo’ la morte di 92 persone, (tra cui il fotoreporter italiano Fabio Polenghi) e il ferimento di circa 2.000.
OTTIMA PROPAGANDA – La manifestazione di giovedì 23 giugno e’ stata organizzata alla perfezione. L’intento era quello di dimostrare che il governo, il primo ministro e i suoi simpatizzanti sono la parte migliore del paese, mentre l’opposizione delle camicie rosse sono la parte peggiore: un branco di delinquenti, criminali, ignoranti o sempliciotti abbindolati da populisti senza scrupoli.
ROSSO FUOCO – Alle nove di sera, dopo un lungo discorso del segretario del partito di governo, sullo schermo e’ stato passato un video sugli scontri di piazza dell’anno scorso. Solo immagini e musica – nessuna spiegazione, nessuna premessa. I soldati sono apparsi sullo schermo solo qualche frazione di secondo, per il resto venivano alternate immagini della Bangkok in fiamme, di camicie rosse che lanciavano bottiglie molotov e discorsi dei loro leader (Thaksin, Jatuporn, e via dicendo) che incitavano la gente a resistere e, in una frase disgraziatamente famosa del giovane leader rosso Nattawut, a “dare fuoco al paese”. Il tutto condito da una musica apocalittica, pesante e strappalacrime.
IL GENTILUOMO – Ad un certo punto, la musica e’ cambiata e con essa le immagini. Dal rosso aggressivo dei taksiniani e del fuoco che si mangiava i centri commerciali si e’ passato al molto più tranquillo celestino delle camicie di Abhisit e delle bandierine del suo partito. Il giovane e affascinante primo ministro, considerato da molti osservatori come poco più che un prestanome dei militari, veniva mostrato intento nello stringere mani, abbracciare bambini, rassicurare le donne e dare una mano a ripulire le strade sporche di sangue e pallottole (e dunque a cancellare ogni indizio per sempre).
IL SALVATORE – La musica ora era dolce e i volti dei cittadini che abbracciavano il capo del governo erano distesi e gioiosi. Pieni di speranza. Nel bel mezzo di questo orgasmo di gioia e serenità, sul palco e’ comparso Abhisit in carne ed ossa. Scroscio di applausi. Insomma, complimenti vivissimi alla regia, che e’ riuscita a presentare Abhisit come il Salvatore del paese contro la gentaglia che ha dato fuoco alla città. Il messaggio del filmato era chiaro: o Abhisit o il caos. (I motivi della rabbia popolare sono stati del tutto ignorati, come se la storia del mondo iniziasse il 19 maggio del 2010).
DIFFERENZA ANTROPOLOGICA – Ma in questa serata di propaganda governativa la cosa più interessante non e’ stata la regia o l’organizzazione efficientissima fino al dettaglio – non si faceva in tempo a buttare un fazzoletto in terra che uno spazzino arrivava e ripuliva un metro quadrato di pavimento – ciò che più ha colpito un osservatore esterno come me e’ stata la gente. Ho assistito a diverse manifestazioni delle camicie rosse, e non ho potuto non notare l’enorme differenza antropologica dei rossi rispetto ai simpatizzanti del governo Abhisit. Una manifestazione delle camicie rosse e’ in qualche modo simile a una manifestazione italiana. C’e’ tanta gente, c’e’ una piazza o delle strade con uomini, donne e bambini che portano bandiere e striscioni, si pitturano il viso, mangiano, bevono, cantano e magari ballano o intonano dei cori o delle canzone popolari. Alle manifestazioni delle camicie rosse praticamente tutti hanno una maglietta, un cappello o un panno rosso. Si vedono le facce e i corpi della vera Thailandia: gente dalla pelle scura e dalle mani callose. Contadini e lavoratori. Persone sorridenti e veraci, aperte e non troppo educate. Magari, a volte, anche incazzate.
MINORANZA FREDDA E SILENZIOSA – Al contrario, alla manifestazione governativa non ho visto nulla di tutto questo. Non c’erano troppe persone. Forse 5.000, 10.000 al massimo. Si stava tutti davanti a un centro commerciale – mi pare si chiami Central World – in modo da lasciare la strada libera per le automobili. La gente era seduta o in piedi. Educatissima. Non ci si sfiorava e ci si guardava poco in faccia. Sembrava di stare in ascensore, quando si prova un po’ di imbarazzo nei confronti di chi non si conosce – e non si vede l’ora che arrivi il nostro pianerottolo. Era gente dalla carnagione chiara, chiarissima. (Mi domando come facciano a mantenere una pelle cosi chiara in una città dove male che va ci sono 30 gradi). Moltissimi erano in giacca e cravatta. C’era chi filmava Abhisit con gli iPad.
BORGHESI CONTRO BUFALI – Si potrebbe sostenere che questa gente rappresenti la ‘Thailandia migliore’, una classe sociale antropologicamente diversa – mi si passi il termine – rispetto alla parte più umile di questo paese del sudest asiatico. Ma di certo ne rappresenta la minoranza. Quella minoranza che oggi teme di perdere tutto il suo benessere e tutti i suoi privilegi e di essere travolta dal popolo, dai contadini e dai lavoratori, da quegli ignoranti che questa élite borghese di Bangkok chiama in modo dispregiativo “bufali”.
BUFALI ALLA RISCOSSA – Ma che piaccia oppure no in questo paese i “bufali” sono la maggioranza della popolazione: contadini che zappano la terra o figli di contadini che tirano a campare nelle grandi cittàsvolgendo i lavori piu umili: muratori, venditori ambulanti, tassisti, puttane. Questa gente raramente ha messo piede negli sfavillanti centri commerciali di Bangkok e nemmeno si sogna lontanamente i resort affollati di stranieri del Sud. Questa massa di “bufali” dopo secoli e millenni di sfruttamento ha finalmente trovato un referente politico e con esso la sua forza elettorale. A queste latitudini, anche questa e’ democrazia.
UN PAESE IN BILICO – Oggi la Thailandia e’ tutto questo: una società divisa tra borghesi e “bufali”, un paese in bilico tra medioevo e futuro. Anche per questo il voto del 3 luglio sara’ un voto storico. Non si escludono i colpi di scena. Stay tuned.
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