[ Premessa: Elezioni in Thailandia: al voto un paese diviso ]
Il 3 luglio si terranno nuove elezioni. Secondo i sondaggi, anche questa volta i Democrats del primo ministro Abhisit ne usciranno sconfitti. Il Pheu Thai, il principale partito di opposizione, ha deciso di presentare come candidato primo ministro la sorella minore di Thaksin, Yingluck Shinawatra, una manager 43enne senza alcuna esperienza in politica ma con un bel sorriso, una laurea conseguita negli Stati Uniti ed un cognome che e’ tutto un programma. Anche lo slogan elettorale di questo partito non potrebbe essere più chiaro: “Thaksin pensa e il Puea Thai agisce”.
I thaksiniani sono favoritissimi, ma resta da vedere se riusciranno ad ottenere la maggioranza assoluta. In caso contrario, potrebbe darsi che il nuovo governo sara’ formato da una ‘santa alleanza’ tra il Democratic Party e tutti gli altri partiti, il che riproporrebbe sostanzialmente la situazione degli ultimi due anni, vale a dire un popolo ‘rosso’ pro-Thaksin costantemente in piazza contro un governo che ritiene illegittimo. Se invece il Pheu Thai dovesse ottenere la maggioranza dei seggi, allora solo un intervento diretto del re o un nuovo colpo di stato potrebbe impedirgli di formare un governo. Ma il prezzo questa volta sarebbe una vera e propria birmanizzazione della Thailandia.
Oggi e’ questo il paradosso della politica thailandese: una vecchia oligarchia disposta a tutto pur di non farsi travolgere da un inevitabile processo di democratizzazione si oppone a un popolo che lotta per i suoi sacrosanti diritti, ma lo fa sotto la bandiera di un personaggio controverso come Thaksin, definito il ‘Berlusconi thailandese‘ per il suo populismo, le sue aziende e il suo conflitto di interessi, ma l’unico che nel bene o nel male ha dato ai 20 milioni di thailandesi più poveri quello che chiedevano.
In questo scenario complesso, appare inverosimile che la situazione politica si possa normalizzare con il voto di luglio. Probabilmente, la divisione sociale del paese resterà immutata, e qualunque sara’ il colore del prossimo governo, le spade di Damocle dell’esercito e delle opposte manifestazioni di piazza rimarranno comunque sulla testa del primo ministro. Di conseguenza, il nuovo esecutivo potrebbe non essere abbastanza forte per risolvere l’insurrezione armata nel sud del paese, il conflitto per i sassi di Preah Vihear al confine nord-orientale e i probemi economici di tutta la nazione. In sostanza, la crisi della Thailandia pare non avere fine.