L’onda rossa destabilizza il governo, titolava giorni orsono un quotidiano tailandese. Le sommosse popolari in Medio oriente sembrano aver galvanizzato le Red Shirts. Il profumo di gelsomino che arriva dal mondo arabo ne sta ravvivando la speranza di vittoria, che le pallottole e gli arresti dell’anno scorso avevano cercato di stroncare.
Tra bandiere e abiti rigorosamente di colore rosso – da qui il loro nome – il 10 e il 19 aprile si sono radunate a Bangkok in decine di migliaia nei luoghi simbolo della loro lotta: il Monumento alla democrazia, a due passi dalla turistica Khao San Road, e il tempio Prathum Wanaram, nella zona commerciale di Siam Square. Tra comizi e slogans anti-governativi, sono state anche commemorate le novantuno persone uccise la scorsa primavera, quando una protesta ad oltranza andata avanti dal 10 aprile al 19 maggio è stata soppressa nel sangue dai soldati.
Le camicie rosse, o UDD (Fronte unito per la democrazia contro la dittatura), sono un movimento eterogeneo. Un po’ come nel Partito Democratico americano, dentro all’UDD si trova di tutto: contadini delle campagne e lavoratori delle città, venditori ambulanti e liberi professionisti, tradizionalisti e progressisti, ras di provincia e studenti della capitale, fautori della monarchia e persino qualche repubblicano e socialista.
Non c’è dubbio che la maggioranza delle camicie rosse sia composta dai sostenitori dell’ex primo ministro Thaksin Shinawatra, l’imprenditore di Chiang Mai che dopo aver vinto tre elezioni di fila con percentuali altissime (dal 40 al 60%) venne deposto nel 2006 da un colpo di stato militare. Prima di essere cacciato dal potere, Thaksin venne accusato di corruzione, autoritarismo, tradimento, lesa maestà, di aver messo il bavaglio alla stampa e di aver svenduto beni nazionali a investitori stranieri. Amnesty International lo criticò aspramente per la sua “guerra alla droga” nella quale vennero uccise migliaia di persone.
Un anno fa la Corte Suprema gli ha requisito circa un miliardo di euro, decisione presa per punire il conflitto di interessi tra i suoi molteplici interessi finanziari e il suo ruolo di primo ministro svolto dal 2001 al 2006. Da anni in esilio tra Londra, Hong Kong, Montenegro e Dubai, grazie alle sue numerose riforme a favore delle classi meno abbienti Thaksin resta popolarissimo tra le masse rurali e lavoratrici, soprattutto nel nord e nel nordest del paese. Thaksin continua inoltre ad interessarsi in prima persona della politica nazionale, cura le strategie dell’opposizione e fa capolino ad ogni loro manifestazione con delle lunghe videochiamate.
La figura decisamente ingombrante di Thaksin inficia in parte la causa delle camicie rosse. Ma nonostante questo, sarebbe un errore ridurre l’UDD al solo Thaksin. Al contrario, questo movimento popolare non è una bolla di sapone e nemmeno una mera appendice di un miliardario senza scrupoli. Il movimento è forte e radicato ed è destinato a continuare a fare la storia di questo paese. Lo dimostra il fatto che l’uso della propaganda, della legge e della forza bruta da parte di governo, magistratura, polizia ed esercito sono riusciti a piegare il popolo rosso ma non a spezzarlo. I quasi cento morti, le centinaia di arresti e i circa quarantamila siti internet, giornali, radio e canali televisivi chiusi, oscurati o censurati non hanno fatto che rafforzare nei rossi il senso di essere vittime di un sistema ingiusto.
E soprattutto, rimangono irrisolti i problemi che hanno portato alla nascita del movimento: carenza di democrazia, distribuzione della ricchezza nazionale eccessivamente diseguale, privilegi di classe, strapotere dell’esercito e del Consiglio privato del re. L’UDD chiede dunque l’abbattimento di questo sistema aristocratico per lasciare spazio alla nascita di una vera democrazia rappresentativa. Essenziale per l’UDD è anche la sostituzione della Costituzione del 2007, scritta da una giunta militare, e la reintroduzione di quella precedente, redatta nel 1997 da una Assemblea costituzionale democraticamente eletta.
Alle elezioni, le Camicie Rosse appoggieranno il loro braccio istituzionale, il partito Puea Thai (Per i tailandesi), che potrebbe presentare come candidato primo ministro la sorella minore di Thaksin. Nonostante ben centoundici politici siano stati squalificati e non potranno partecipare alle elezioni, nei sondaggi il Puea Thai resta il partito favorito.
Ovviamente degna di attenzione sarà la reazione dell’establishment ad una eventuale ennesima vittoria dei thaksiniani. In un paese che ha avuto una ventina di colpi di stato negli ultimi settantanove anni, nessuno si sorprenderebbe se una mattina ci dovessimo svegliare nuovamente con i carri armati sotto casa.
[Scritto per China Files]
[Foto da http://www.rnw.nl]