Correva l’anno 1936, mese di aprile, quando una vasta sommossa popolare scosse la Palestina sotto il mandato britannico. La rabbia palestinese esplose contro il colonialismo britannico e contro la rapida crescita economica, demografica e di influenza politica dei coloni ebrei. Passerà alla storia come la Grande Rivolta Araba (o Rivolta Araba in Palestina). Venne definitivamente sconfitta da britannici e ebrei nel giro di 3 anni.
Gli eventi
Il 19 aprile 1936 scontri di piazza a Tel Aviv e Jaffa, che all’epoca erano ancora città a maggioranza arabo-palestinese, risultarono nella morte di nove ebrei e due arabi e il ferimento di una cinquantina di persone, tra cui alcuni britannici.
Il 20 venne indetto uno sciopero generale al quale partecipò la quasi totalità della classe operaia e contadina palestinese di Jaffa, Nablus, Haifa, Jenin, Tulkarm e Gerusalemme.
Gli scioperanti chiedevano la fine dell’immigrazione ebraica, la fine del trasferimento di terra palestinese ai coloni ebrei e la formazione di un governo nazionale.
Seguendo il modello di lotta anti-coloniale del leader indipendentista indiano Gandhi, che tra l’altro appoggiava la Resistenza Palestinese, gli scioperanti dichiararono anche di boicottare i prodotti e le aziende ebree.
Un mese dopo l’avvio dello sciopero generale, gli scioperanti proclamarono il rifiuto generale di pagare le tasse chiedendo la fine del Mandato (cioè del colonialismo britannico in Palestina) e dunque l’indipendenza nazionale con elezioni immediate per eleggere democraticamente un governo arabo-palestinese.
I motivi della Rivolta
Dietro alla rabbia anti-coloniale palestinese c’erano le condizioni sociali che si erano andate via via aggravando negli anni precedenti, mentre la popolazione ebrea era quasi raddoppiata in soli 5 anni, dal 1931 al 1936, raggiungendo il 27% del totale.
Il programma sionista era semplice: accaparrare più terra possible per gli ebrei, soprattutto quella fertile, approfittando del beneplacito dei britannici.
Come espresso chiaramente dal leader sionista laburista ebreo-israeliano David Ben-Gurion il 20 aprile del 1936, gli ebrei potevano vivere solo “in comunità al 100% ebree e costruite su terra ebrea”.
I palestinesi, dunque, la maggioranza dei quali erano contadini, dovevano liberare la terra, in modo non dissimile da come i nativi americani avevano dovuto liberare la terra per gli immigrati europei che si insediarono in Nord America.
Tasse eccessivamente alte, leggi vessatorie, speculazioni edilizie, polizia coloniale britannica e squadracce paramilitari sioniste avevano l’obiettivo comune di liberare la terra per i coloni ebrei. Di conseguenza si andava a creare una larga popolazione di arabi diseredati, contadini cacciati dalle loro terre che si trasformavano in sottoproletariato urbano, ammassati nelle periferie malsane delle città, dove spesso si vedevano anche rifiutare ogni lavoro da parte degli ebrei.
Repressione della Grande Rivolta Araba
Allo sciopero generale e all’insurrezione palestinese, i britannici risposero con una repressione brutale.
Nei tre anni seguenti i britannici, oltre a armare le milizie sioniste, demolirono migliaia di case palestinesi, giustiziarono centinaia di persone e ne imprigionarono e torturarono altre migliaia.
Le stime ci dicono che vennero uccisi tra i 3.000 e i 7.000 arabi palestinesi: circa 2.000-4.000 morti in combattimento, 108 impiccati e tra i 961 e i 1.200 uccisi da “terroristi” ebrei. I feriti furono circa 15.000. In totale, dal 1936 al 1939 almeno il 10% degli uomini palestinesi in età adulta furono uccisi, feriti, imprigionati o esiliati.
Le stime degli ebrei uccisi variano da un minimo di 91 morti a un massino di circa 300.