Terremoti, tifoni, tsunami, incendi, vulcani, attacchi nucleari e terrorismo: il Giappone è da sempre terra di disastri, e ciò si riflette nella cultura popolare, dall’arte alla letteratura fino ai mostri, ai manga e a cartoni animati
La prima parte di questo post è stata postata due giorno fa in Giappone: dai Disastri nasce la Cultura della Bellezza e della Transitorietà.
I bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki dell’agosto 1945 hanno inaugurato una nuova era di terrore in Giappone. Le conseguenze delle bombe sono state incredibilmente grottesche, una situazione aggravata dal fatto che non si è trattato di un disastro naturale, ma di una catastrofe prodotta dall’uomo. La risposta di molti scrittori e cineasti giapponesi è stata quella di non affrontare direttamente il trauma, ma traslarlo nel campo del fantastico e dell’allegorico. Questo perché gli attacchi nucleari e le loro conseguenze di lunga durata (le radiazioni) sarebbero state, per molti, semplicemente troppo dolorose da poter essere affrontate direttamente, come descritto da Masuji Ibuse nel suo romanzo del 1966 intitolato La Pioggia Nera:
«Mi sentivo come se la notte fosse arrivata, ma dopo esser stato a casa per un po’ mi resi conto che era buio a causa delle nubi di fumo nero che riempivano il cielo…. La mia pelle era come schizzata di fango. La mia camicetta bianca a maniche corte era sporca nella stessa maniera, e il tessuto era danneggiato nelle parti sporche. Quando ho guardato nello specchio, ho scoperto che ero sporco in tutto il corpo con lo stesso colore, tranne dove mi ero coperto con il mio cappuccio…. improvvisamente ricordai di una doccia di pioggia nera che era caduta dopo che il signor Nojima ci aveva preso nella sua barca al mercato nero. Saranno state le 10 di mattina. Improvvisamente delle nubi nere cariche di temporale si erano dirette su di noi dalla direzione della città, e la pioggia iniziò a cadere in strisce dello spessore di una penna stilografica. Smise quasi subito. Faceva freddo, talmente freddo da far rabbrividire anche se eravamo nel mezzo dell’estate».
I film di Godzilla sono ben noti per la loro vivace allegoria di una situazione di panico e caos che inghiotte Tokyo e il Giappone dopo un disastro nucleare. Questi film illustrano anche quello avviene dopo lo shock iniziale: ovvero il lento e triste processo di ricostruzione, i medici che cominciano ad aiutare le vittime delle radiazioni e gli scienziati che guardano al futuro nel tentativo di prevenire il prossimo disastro. «I giapponesi sono molto bravi a parlare del periodo che segue le catastrofi: la commozione, il lutto», dice la professoressa Napier. «Già nel primo Godzilla, la qualità elegiaca si sta costituendo», come nella musica ossessionante di Akira Ifukube.
«Immaginavo Godzilla come la personificazione della violenza e dell’odio per l’umanità, poiché fu creato dall’energia atomica», disse il regista Jun Fukuda. «Portò in sé questa ira a causa delle sue origini. È come un simbolo della complicità umana nella sua propria distruzione. Non ha emozioni, lui è un’emozione».
Tra il 1999 e il 2000 Haruki Marukami ha scritto un libro di racconti, intitolato After The Quake (Dopo il Terremoto), che trattano il disastro causato dal terremoto di Kobe del 1995 in vari modi, allegorici e diretti:
«Ha trascorso cinque giorni di fila davanti alla televisione, a guardare banche e ospedali crollati, interi isolati di negozi in fiamme, le linee ferroviarie recise e le superstrade crollate. Non ha mai detto una parola. Sprofondata tra i cuscini del divano, la bocca chiusa, serrata, non ha risposto nemmeno quando Komura ha parlato con lei. Non scuoteva nemmeno la testa, nessun cenno del capo. Komura non poteva essere sicuro nemmeno che il suono della sua voce giungesse fino a lei».
Il terremoto di Kobe, un sisma da 6,8 gradi della scala Richter, ha causato la morte di circa 6.000 persone ed ha danneggiato 400.000 edifici. Due mesi dopo c’è stato l’attentato con gas nervino alla metropolitana di Tokyo perpetrato dalla setta di Aum Shinrikyo. “Solo” 13 morti e 6.200 intossicati, ma l’evento scosse l’opinione pubblica nipponica per la rara ricorrenza degli attantati terroristici in giappone, per l’impressione causata dall’impiego del gas, e per il fatto che i terroristi abbiano colpito la metropolitana della capitale, frequentata di oltre 8 milioni di persone al giorno.
Continua Marukami:
«La moglie di Komura proveniva da Yamagata, nel nord, e per quanto ne sapesse non aveva amici o parenti che avrebbero potuto essere stati feriti a Kobe. Eppure rimase incollata davanti alla televisione dalla mattina alla sera. Non mangiò nulla e nulla bevve e nemmeno andò mai al bagno. Almeno in sua presenza. A parte per qualche colpo occasionale sul telecomando per cambiare canale, non mosse un muscolo» — UFO a Kushiro, da After The Quake (Dopo il Terremoto), di Haruki Marukami
Il mondo post-apocalittico abbraccia tutta la letteratura giapponese moderna, sia quella popolare che quella più intellettuale. Tra le opere più celebri c’è The Ark Sakura, di Kobo Abe, che parla degli abitanti di un bunker sotterraneo. Kenzaburo Oe in The Pinch Runner Memorandum descrive un uomo e un suo figlio disabile che lottano per salvare il mondo dalle forze del caos, tra cui, a un certo punto, un terremoto che minaccia di rovesciare l’ordine sociale. Sul lato più popolare troviamo invece Japan Sinks (Il Giappone Affonda), di Sakyo Komatsu, pubblicato nel 1973 e poi ristampato dopo il terremoto di Kobe. Un film dallo stesso nome e con la stessa trama è uscito lo stesso anno (ed è stato rifatto nel 2006). Il suo trailer contiene l’agghiacciante slogan:
«Si comincia con terremoti sconvolgenti! Poi vengono tempeste di fuoco! Ma il peggio deve ancora venire… Onde Giganti!»
Poi ci sono gli anime e i manga: il selvaggio subconscio collettivo del fumetto e del cartone animato giapponese, in cui l’apocalisse prende le sembianze di erotiche bestie demoniache, come nella serie Overfiend, o è caratterizzata dal potere magico delle ragazze, come in Nausicaä of the Valley of the Wind e nel recente film Ponyo, in cui una giovane donna-pesce provoca uno tsunami distruttivo nel tentativo di diventare umana.
Molti classici anime e manga si svolgono in universi post-apocalittici, tra cui Akira e la serie di Evangelion. Akira (il manga è del 1982 e il film d’animazione del 1988) è ambientato nella megalopoli di Neo-Tokyo, sorta sulle ceneri di Tokyo, distrutta qualche decennio prima da una misteriosa esplosione nucleare che ha scatenato la terza guerra mondiale. Evangelion è la storia di una guerra tra un’unità para-militare e un gruppo di angeli vendicatori in una Tokyo che è stata devastata da un terremoto e uno tsunami, seguiti da una mega-esplosione. È una «vera apocalisse psicologica», afferma Napier. «Queste opere descrivono un senso di disagio interno e di preoccupazione per il futuro». E aggiunge: «Ecco perché è così tragico quello che sta succedendo adesso con il terremoto: è la realizzazione di un sacco di preoccupazioni che hanno afflitto il Giappone negli ultimi 10 anni o giù di lì».
Non è chiaro come il Giappone risponderà alla sua ultima catastrofe, ma sappiamo che lo farà, come ha sempre fatto. I giapponesi hanno una lunga familiarità con l’orrore causato da disastri di scala epica come questa, e storicamente ogni scossa del terreno ha provocato una scossa parallela di assestamento culturale, dai miti Meiji fino ai nuovi manga. I giapponesi hanno sempre affrontato i disastri tessendo il trauma con i loro strumenti culturali ed inglobando l’esperienza della catastrofe nel loro bagaglio culturale. L’unica domanda è quali saranno i nuovi mostri che il trauma di questi giorni porterà alla superficie.