150 anni d’Italia, le Vere Radici della Nazione sono oramai dimenticate
Di Alessio Fratticcioli [ Blog | Twitter | Facebook ]
Purtroppo, tutto lascia intendere che questa celebrazione continuerà a portare avanti le falsificazioni storiche che hanno cancellato la verità su come l’Italia è nata e come è stata tradita.
Questo articolo tocca solo una delle falsificazioni o dimenticanze, quella relativa ai rapporti tra nascita dell’Italia e la Chiesa (Cattolica Apostolica Romana).
L’Italia è stata fatta contro il papa re, che rappresentava il potere temporale e culturale.
Per lunghi anni i papi hanno rappresentato il maggior ostacolo per l’Unità d’Italia. Per questo dalla metà degli anni cinquanta del XIX secolo la politica del Regno di Sardegna mostrò una netta virata in senso anticlericale. Nel 1855 il Parlamento di Torino approvò una legge che sopprimeva gli ordini religiosi ed ordinava l’incameramento e la vendita di tutti i loro beni. Il re, Vittorio Emanuele, controfirmò, sancendo così la sua rottura con la Chiesa. Il papa condannò fermamente la legge con l’allocuzione Cum sepe.
Tra il 1859 e il 1860 i piemontesi invadono i territori papali di Romagna, Toscana, Umbria e Marche. Torino chiede al papa di rinunciare volontariamente alle Legazioni; ottenendo un netto rifiuto, vengono organizzati dei plebisciti di annessione. Alle nuove province fu immediatamente applicata la legge sarda: soppressione degli ordini religiosi e incameramento dei loro beni.
Lo Stato Pontificio fu così ridotto al Lazio, ma nel 1861, pochi giorni dopo la proclamazione del nuovo Regno d’Italia, Cavour annunciò alla Camera dei Deputati che «Roma sola deve essere capitale d’Italia». Negli anni sessanta il Regno d’Italia cercò di trattare con il papa la sua rinuncia al potere temporale. Come tutta risposta, Pio IX nel 1869 convocò un concilio ecumenico il cui risultato più importante fu l’affermazione del dogma dell’infallibilità del papa. Un secolo dopo dallo sviluppo dell’Illuminismo, la “trovata” di Pio IX venne vista dagli intellettuali italiani come una provocazione.
Dopo anni di azioni diplomatiche, quando risultò chiaro che il Vaticano avrebbe rinunciato alla “roba” solo con le cannonate, il Regno d’Italia fu costretto a passare all’azione militare contro il papa. La presa di Roma (20 settembre 1870) comportò la liberazione della città da uno dei regimi più illiberali, conservatori e reazionari in Europa e l’annessione di Roma al Regno d’Italia. Allo stesso tempo, decretò la fine del potere temporale dei papi e la fine dello Stato Pontificio, esistito dal 752 al 1870 in barba alla divisione tra politica e religione chiesta da Gesù Cristo nei Vangeli. L’anno successivo la capitale d’Italia fu trasferita da Firenze a Roma (legge 3 febbraio 1871, n. 33). Il papa si dichiarò prigioniero in Vaticano e scomunicò a destra e a manca.
Dunque l’Italia è nata contro il papa, contro la Chiesa Cattolica Apostolica Romana. Questa realtà storica è stata però annacquata dal Concordato di Mussolini e via via cancellata dai libri di Storia.
L’anticlericalismo dei re e di Cavour è stato dimenticato, la Repubblica Romana di Mazzini è scomparsa, la ferocia antipapale di Garibaldi, l’unico italiano degli ultimi secoli di cui si possa dire tranquillamente che fu un generale eccezionale nonché un grande eroe, completamente annullata. L’Italia, unificata da grandi italiani come i suddetti, li onorò con vie, piazze e monumenti, ma decise di ignorare i valori per cui essi si batterono.
Pensiamo al solo Giuseppe Garibaldi, amato e stimatissimo in tutta Europa ed in America ben prima dell’impresa dei Mille. Nato a Nizza, divenne un eroe cosmopolita che si batteva contro le tirannidi e le dittature di ogni dove. Come un Che Guevara ante-litteram, Garibaldi combattè non solo per l’Italia, ma anche per la libertà di altri popoli. Garibaldi in Inghilterra veniva invitato come ospite d’onore dai primi sindacalisti, mentre le donne progressiste inglesi lo amavano fino all’idolatria e pagavano prezzi esorbitanti per avere un po’ dell’acqua in cui si faceva il bagno! Tanta era la fama di Garibaldi che egli fu degno degli incensi di Victor Hugo, che lo definì “uomo in tutta l’accezione sublime del termine”, così come di quelli poetici di Carducci:
“Surse in Mentana l’onta dei secoli / il triste amplesso di Pietro e Cesare: / tu hai, Garibaldi, in Mentana / su Pietro e Cesare posto il piede… Oggi l’Italia adora. Invòcati / la nuova Roma novello Romolo: / tu ascendi, o divino: di morte lungi i silenzi dal tuo capo”.
Ma Garibaldi quando pensava all’Unità d’Italia individuava un problema su tutti: il Vaticano. E’ anche per questo che definisce il Papa “il canchero nel cuore dell’Italia” e accusa i preti di mantene gli italiani, in larghissima parte analfabeti e contadini, nella “cloaca di ignoranza e di miserie”. Garibaldi si lamentava così:
“il contadino non serve volontariamente l’Italia. Per lui, l’Italia una, libera, rigenerata, è nemica del prete, dunque di Dio, e i governi che si succedono mantengono questa maledizione del Genere Umano. Quando le madri baciano la mano al prete, e s’inginocchiano davanti a lui, non sanno che sono ai piedi d’un assassino dei loro figli, d’un assassino del loro paese”.
Ancora, nel 1867 l’Eroe dei Due Mondi disse:
“i clericali sono sudditi e militi di una potenza straniera, autorità mista e universale, spirituale e politica, che comanda e non si lascia discutere, semina discordi e corrompe. A questi nemici della patria nostra e della civiltà voglionsi togliere i mezzi di nuocere”.
Lo stesso anno, in un proclama agli elettori:
“il prete è l’assassino dell’anima poiché in tutti i tempi egli ha fomentato l’ignoranza, e perseguito la scienza… Assassino dell’anima egli è peggiore dell’assassino del corpo e più di quello meriterebbe la morte. Gliela commineremo a galera in vita, o cosa simile, per impedirlo di assassinare. Noi lo accoglieremo però se, lasciando il suo carattere di buffone, egli vuol ridiventare uomo”.
Ancora, il 29 luglio 1868 Garibaldi disse ai bolognesi:
“che diavolo di libertà vuole un popolo che tutti i giorni va a prostrarsi à piedi d’un prete, piedistallo di tutte le tirannidi e soldato del più atroce de’ tiranni d’Italia? Io crederò che il nostro popolo vuol essere libero quando lo vedrò cambiare la bottega di San Petronio in un asilo di indigenti; quando, sulla chierica del negromante buffone, lo vedrò infrangere il fiasco di San Gennaro”.
Ed il 7 settembre 1868, in una lettera agli abitanti di Ancona:
“come seguaci di Beccaria e di Victor Hugo, noi abbiamo sempre creduto che l’uomo non sia padrone della vita dell’uomo! Così non la pensa però quel vecchio putrido, sacerdote della menzogna e del delitto, che siede in Roma”.
Questo suo anticlericalismo cristallino gli è valso l’avversione della storiografia e della pubblicistica cattolica, che ha gettato fango sul suo mito, cercando di screditarlo in ogni modo.
Per i cattolici, Mazzini e Garibaldi furono degli anti-cristo, un’accusa tanto ridicola quanto faziosa, in quanto essi furono semplicemente contro il potere temporale del clero e contro le menzogne della Chiesa, non contro Cristo. Anzi, lo stesso Gesù Cristo era a favore della separazione tra Stato e Chiesa. Difatti Garibaldi voleva mandare i preti a lavorare nei campi (“I preti alla vanga!”, citato in Mino Milani, Giuseppe Garibaldi: biografia critica, Mursia, 1982, p. 511) ma non risulta abbia mai attaccato Gesù Cristo.
Dunque, quale Italia si festeggia oggi? Quella antipapale o quella schiava del Cupolone? Quella contro le menzogne vaticane o quella serva del Vaticano s.p.a.?