(scritto per Orizzonti Nuovi, dicembre 2010)
Il 13 novembre, dopo le elezioni farsa che hanno dato ai partiti espressione del regime militare la maggioranza assoluta dei seggi nel nuovo parlamento, i generali hanno liberato Aung San Suu Kyi, l’eroina per la democrazia del popolo birmano. La sua liberazione e’ stata accolta con lacrime di gioia da tanti cittadini di Yangon, che l’hanno aspettata fuori delle mura della sua abitazione in University Avenue al coro di “De-mo-cra-cy, Aung-San-Suu-Kyi”.
Nel suo primo comizio dopo la liberazione, alla sede della Lega Nazionale per la Democrazia (Nld), ad ascoltare Suu kyi c’erano 40 mila persone. La polizia era presente ma non e’ intervenuta, limitandosi a fotografare e filmare la folla. “La base della libertà democratica è la libertà di parola“, ha detto Suu. “Io penso di sapere cosa vuole il popolo birmano, ma siate voi stessi a dirmelo. La mia voce, da sola, non è democrazia, niente può essere raggiunto senza la partecipazione della gente: dobbiamo camminare assieme, senza perdere la speranza, senza farci scoraggiare.” Poi ha continuato: “C’è democrazia quando il popolo controlla il governo. Insieme decideremo quello che vogliamo, e per ottenerlo dobbiamo agire nel modo giusto. Dobbiamo lavorare insieme: voglio lavorare con tutte le forze democratiche della Birmania. Parlerò con chiunque voglia lavorare per il bene del paese e per la democrazia, anche se la riconciliazione nazionale significa riconoscere che vi sono differenze. Non nutro ostilità nei confronti del governo per avermi tenuta prigioniera per tanto tempo. Questo è il momento in cui la Birmania ha bisogno di aiuto da parte delle nazioni occidentali, delle nazioni orientali, del mondo intero: tutto comincia con il dialogo. E se il popolo vuole veramente la revoca delle sanzioni internazionali contro la Birmania, ne terrò contro“, ha concluso Aung San Suu Kyi.
NUOVE SPERANZE – La sua liberazione significa dunque nuove speranze per la riconciliazione nazionale e per la democrazia. Le stesse elezioni possono essere viste come il primo passo, piccolo ma necessario, nella direzione di una possibile evoluzione del regime birmano verso una qualche forma di democrazia. Non sara’ assolutamente facile, ma il cambiamento doveva pure iniziare da qualche parte, in un paese che ha passato l’ultimo mezzo secolo in uno stato di quasi costante guerra civile tra la giunta militare, l’opposizione e le varie minoranze etniche. In questa guerra i militari hanno violato ogni tipo di codice etico e morale, la Convenzione di Ginevra e quella sui diritti dell’uomo – migliaia di civili sono stati uccisi nelle strade, imprigionati, stuprati e torturati, interi villaggi di minoranze etniche sono stati bombardati, dati alle fiamme e rasi al suolo, persino templi e chiese, opere d’arte e monumenti sono stati depredati e distrutti. Queste politiche criminali, tra l’altro, hanno causato un esodo di milioni di profughi.
IL PAESE A UN BIVIO – Ora, con l’imminente parziale passaggio dei poteri a un governo di civili e l’esuberanza e l’euforia che ha salutato la liberazione della signora Suu Kyi, la Birmania e’ a un bivio nuovo. La speranza e’ che possa aprirsi un dialogo tra le tre parti – il nuovo governo, le forze di opposizione e le minoranze etniche – con l’obiettivo di arrivare a una vera riconciliazione nazionale e iniziare la transizione verso un sistema piu’ democratico. Ma la situazione potrebbe anche degenerare in tempi relativamente brevi. La guerra contro le minoranze etniche potrebbe scivolare in una rischiosa escalation mentre Suu Kyi potrebbe essere ricondannata alla prima occasione. Allo stesso tempo, e’ facilmente ipotizzabile un continuo controllo dei militari nei confronti di un governo fasullo e un parlamento senza reali poteri, mentre un’opposizione repressa potrebbe finire per tornare in strada e scatenare una nuova sanguinosa repressione.
UN POPOLO, UNA DONNA, UN’UTOPIA – In conclusione, in Birmania la strada verso la democrazia rimane estremamente tortuosa, ma con la guida della signora Suu Kyi, la cui grandezza e’ quella di combattere con intelligenza, onesta’, coraggio, sacrifici personali e metodi non violenti un regime militare corrotto e brutale, la nobile lotta del popolo birmano rimane una battaglia che puo’ essere vinta. Per Suu Kyi la sfida potrebbe quindi essere quella di mantenere bassi i toni, lasciare che i generali continuino a tirare i fili del gioco, ma allo stesso tempo costruire una vasta coalizione di diverse forze sociali e etniche, fino al momento in cui, maturate condizioni favorevoli, potra’ fare la sua mossa definitiva e cogliere senza sforzi il frutto dolce della democrazia. Senza dubbio, questa situazione ideale non si verifichera’ in tempi brevi ma, come ha scritto il padre di Suu Kyi, l’eroe birmano Aung San, “la democrazia e’ l’unica ideologia coerente con la liberta’. E’ anche l’unica ideologia che promuove e rafforza la pace. E’ quindi l’unica ideologia che dobbiamo perseguire”.