“Tutti questi popoli orientali non solo credono che possono essere utili ai morti…; essi pensano anche che i morti hanno il potere di tormentare e portare soccorso ai viventi; e da questa credenza viene la cura e la magnificenza dei funerali; perché è solo in questo che sono magnificenti. Da questa credenza viene anche che pregano per i morti”. (Simon de la Loubere, Du Royaume de Siam, 1691, pag. 121)
Tuyết, “neve” in lingua vietnamita, era una bellissima donna di mezza età. Come tutte le asiatiche, dimostrava dieci o quindici anni di meno. Per essere una annamita era alta, il suo corpo pareva ancora fresco e usava indossare dei tacchi a spillo per slanciare maggiormente la sua figura ancora attraente. Aveva gli occhi dei cinesi del Nord, piccoli come fessure, un sorriso largo e contagioso, un nasetto sbarazzino e la pelle color ambra scura.
Tuyết era un motorino che si accendeva all’alba. Anzi, prima. I due figli vanno al liceo e le loro lezioni cominciano alla sette. Tuyết si svegliava qualche ora prima. Dopo essersi esercitata una mezz’ora nella nobile arte orientale del Tai Chi nel parco dietro casa, si metteva in cucina a preparare la colazione per tutta la famiglia. Zuppe di vitello, pollo, verdure e tofu; aranciate, frullati, latte e caffè. Perché in Vietnam, anche nelle grandi metropoli, la cultura è ancora contadina e perciò la colazione è sana e abbondante. Quando suo marito e i figli uscivano, Tuyết apriva il negozietto sotto casa e dalle sette di mattina alle dieci di sera vendeva caffè e bevande ghiacciate.
Guadagnava soldi per far studiare i figli e per comprare gli status symbol del consumismo imperante. Voleva permettere loro di avere tutti gli oggetti che non era riuscita ad avere per sé da piccola, ai tempi in cui il Vietnam si dissanguava nella guerra fratricida tra il Nord di Ho Chi Minh e il Sud fantoccio dei neocolonialisti nordamericani, anche allora impegnati ad “esportare democrazia” lontano da casa loro. Ma a Tuyết non interessava rivangare il passato: viveva in pace, la sua vita era piena e aveva una famiglia felice.
Poi però è arrivata la malattia. Il male è stato cattivo e veloce e in pochi mesi ha fatto sciogliere quel corpo pieno di vita come neve al sole. Tuyết è morta, stroncata da un tumore, consumata da un fuoco interno che nel giro di una stagione l’ha essiccata come quei calamari che vengono venduti per le strade di Saigon a ventimila đồng.
Lan, la sua bellissima figlia diciassettenne, ultimamente era cambiata. Dopo le lezioni non si attardava più a chiacchierare e a ridere con le amiche, niente più sortite quotidiane al cybercafé a cento metri da casa sua, dove andava a sentire la musica, a giocare con i videogiochi, a chattare con gli amici. Ultimamente, al suono della campanella Lan era la prima a catapultarsi fuori della scuola per pedalare veloce verso casa con la sua bicicletta e con il suo bellissimo áo dài bianco a svolazzare da tutte le parti. Anche Lan sapeva che sua madre stava morendo.
Tuyết ha lasciato Lan, un figlio adolescente e il marito, che le ha organizzato un grande funerale. Tre giorni: settantadue ore filate di veglia con balli, canti, fiumi di birra e tanto cibo. Il figlio più piccolo piangeva e i parenti gli dicevano di fare l’uomo, di ubriacarsi. Il marito era vestito di una tunica chiara, con la testa fasciata da una stoffa bianca, simbolo di lutto. Un po’ ha pianto, un po’ ha mangiato e soprattutto si è rimpinzato di birra. Ha già fatto sapere che presto dovrà risposarsi, perché è ancora un uomo giovane. Nella seconda serata del funerale è stato invitato anche un gruppo di cantanti transessuali vestiti da drag queen. Si sono esibiti per qualche ora per una somma di circa 600mila đồng (24 euro). I tanti invitati hanno mangiato e bevuto, ballato e cantato. Anche la gente che passava per strada è stata buttata dentro e invitata a mangiare e bere, si è divertita e ha onorato lo spirito di Tuyết. In Vietnam si usa così: più persone partecipano ai tre giorni di funerale, più il morto viene rispettato e la famiglia dimostra di essere socialmente importante.
Tuyết è morta, il suo corpo fisico si è ricongiunto ai cinque elementi. Ora è lo spirito protettore della famiglia, la sua foto in bianco e nero adorna l’altare domestico insieme a quelle dei nonni e una statuetta raffigurante un Budai grasso e sorridente, quello che secondo i cinesi porta fortuna per le attività economiche. Mattina e sera le si accenderanno incensi e le si dovrà donare qualcosa da mangiare e da bere, un frutto o del tè, una merendina o una lattina di Coca-Cola.
Lan è diventata una donna e ha svolto con precisione i riti tradizionali. Gli amici hanno notato qualcosa di strano in lei – pare abbiano visto chiaramente l’ombra della madre dietro alla sua figura leggiadra e nei suoi occhi fiammanti.
Scritto per L’Internazionale di Micropolis, 16 dicembre 2010