La Giunta militare ha scritto le regole e ha approvato tutti i candidati. Dalle urne uscirà un parlamento espressione del regime, e il mondo sta a guardare. Aung San Suu Kyi dalla sua prigionia può far veramente poco.
(Alessio Fratticcioli per Giornalettismo, 1 novembre 2010)
Il presidente del Consiglio di Stato per la Pace e lo Sviluppo, ‘Generale Anziano’ Than Shwe, da qualche anno è insediato nella spettrale neo-capitale Naypydaw (“la dimora degli dei”). A tre anni dalla fallita “rivoluzione zafferano”, pare che questo anziano duce 77enne desideri assicurarsi una vecchiaia tranquilla, senza spiacevoli sorprese. Potrebbe essere questa una delle ragioni per cui, il 7 novembre, in Birmania si terranno le quinte elezioni dall’ottenimento dell’Indipendenza nel 1948 e le prime dal 1990. Una conseguenza di queste elezioni potrebbe essere proprio l’inizio del processo di successione a Than Shwe. Si tratterebbe di una transizione morbida attraverso, da una parte, la ridistribuzione del suo potere personale fra i gerarchi, e, dall’altra, l’annacquamento del regime militare attraverso l’introduzione di qualche elemento di democrazia liberale, dando cosi’ una minima verniciata di legittimità democratica ad un regime altrimenti anacronistico.
QUANDO VINSE L’OPPOSIZIONE – Ironicamente, le elezioni tenutesi 20 anni orsono furono stravinte dal partito di opposizione, la Lega Nazionale per la Democrazia del Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, che ottenne 80% dei seggi contro solo il 2% del partito dei militari. Per questo quelle elezioni furono ignorate dal regime, che non cedette mai il potere ai parlamentari eletti e diede inizio ad una ventennale campagna di intimidazioni, arresti, imprigionamenti, lavori forzati, arruolamento obbligatario nell’esercito e sistematica distruzione di ogni movimento popolare. Oggi al mondo ci sono pochi regimi piu’ cinici, dispotici e tirannici di quello birmano. I generali che hanno controllato questo paese dal colpo di stato del 1962 hanno dissanguato l’economia nazionale, accumulato fortune private, calpestato i diritti umani e infangato il nome del loro paese fino al punto che oggi le parole Birmania e Myanmar, la denominazione ufficiale di questo paese del sud-est asiatico, sono divenute sinonimi di dittatura.
TUTTO PREPARATO – Anche queste elezioni sono state organizzate in modo da non essere nè libere nè giuste. Al contrario del 1990, questa volta la Giunta ha fatto di tutto e di piu’ per assicurare la vittoria al suo partito, lo Union Solidarity and Development Party (Usdp). Tanto per cominciare, a nessun osservatore straniero sarà permesso l’ingresso nel paese. Inoltre, i militari si sono garantiti il 25% dei seggi, mentre altri generali e colonnelli hanno abbandonato la divisa per candidarsi al restante 75% dei seggi riservati ai civili. I partiti di opposizione hanno subito intimidazioni, si sono visti respingere molte candidature, e non si sono potuti permettere di fare campagna elettorale per via di un esoso sistema di tassazione sulle stesse. Al contrairo, l’Usdp è stato finanziato con fondi pubblici. Inoltre, in ogni città e villaggio le autorità hanno ‘spiegato’ agli elettori come bisogna votare. Persino la data delle elezioni è stata scelta dalla superstiziosissima Giunta militare consultando astrologi e indovini.
BOICOTTATE – In questo panorama non stupisce che alla Signora Suu Kyi, leader democratica letteralmente venerata dal popolo, sia stata di nuovo vietata la candidatura. Inoltre, la figlia del grande eroe birmano Aung San è ancora agli arresti domiciliari, accusata di ‘crimini’ che in un paese democratico sarebbero considerati semplicemente ridicoli, quali essere la vedova di uno straniero e aver fatto entrare un cittadino statunitense in casa. Questa tragedia politica avrà una conclusione scontata. Da questa partita elettorale nella quale la Giunta militare ha scritto le regole e ha fatto da arbitro, non potra’ che uscirne un parlamento espressione del regime e un Governo filo-militare che governerà secondo i dettami dell’attuale Costituzione, scritta anch’essa dai militari. Di fronte a questa ovvia conclusione, Aung San Suu Kyi ha chiesto al popolo birmano di boicottare queste elezioni farsa, una posizione che ha pero’ portato non solo allo scioglimento del suo partito da parte delle autorità, ma anche alla spaccatura del movimento democratico, segnando di fatto un punto a favore del regime.
DIETRO C’E’ LA CINA – A poco sono valse le tante campagne internazionali a favore di Suu Kyi e della causa democratica in Birmania e, con ogni probabilità, grazie a uno sponsor politico ed economico del peso della Cina, il regime birmano potrà continuare a permettersi di ignorare il pigolio internazionale sui diritti umani. D’altra parte, un eventuale inasprimento delle sanzioni economiche potrebbe avere la sola conseguenza di avvicinare ancor di più il regime birmano a Pechino. Senza contare che in molti criticano non solo l’inefficacia ma anche l’ipocrisia di tali sanzioni, visto che altri regimi non meno odiosi, come l’Arabia Saudita, sono tra i maggiori partner commerciali occidentali e vengono costantemente riforniti di tecnologia militare europea e statunitense.
VERSO UNA “DEMOCRAZIA CONTROLLATA” – In conclusione, come unica nota positiva, possiamo sperare che queste elezioni segnino l’inizio di un percorso che possa portare questo paese asiatico verso un sistema piu’ pluralistico di quello attuale. La democrazia pare essere ancora una chimera ma, come hanno argomentato alcuni osservatori, si spera possa almeno nascere una “democrazia controllata” o, “disciplinata”, come e’ stata definita da alcuni generali.
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