Seggi chiusi, intimidazioni, bombe. Il voto per il rinnovo della Camera bassa è l’emblema di una democrazia, quella del paese asiatico, che fa fatica a decollare.
Di Alessio Fratticcioli (scritto per Giornalettismo)
Sabato scorso gli afghani sono stati chiamati alle urne per rinnovare la Wolesi Jirga, la Camera bassa del parlamento. Le elezioni hanno avuto luogo sotto l’ombra dell’escalation militare ordinata da Obama, che ha aumentato il numero di truppe straniere nel Paese a più di 140.000 unità e che come conseguenza della pressione delle truppe Isaf nei territori controllati dagli insorgenti hanno portato al record di soldati caduti in combattimento: solo negli ultimi giorni sono stati uccisi un italiano, un inglese e decine di statunitensi e a un numero imprecisato di vittime civili.
IRREGOLARITA’ E VIOLENZE – Quest’anno la principale squadra internazionale di monitoraggio delle elezioni, quella dell’Unione europea, che alle elezioni presidenziali afgane del 2009 era composta da 120 osservatori, ha schierato solo 7 osservatori. Anche tutte le altre strutture internazionali di monitoraggio hanno sostanzialmente abbandonato il campo, adducendo ragioni di sicurezza, ma forse solo per via dell’ostilità del regime Karzai. A titolo di esempio, l’International Republican Institute ha ridotto i suoi osservatori da 160 a 40, mentre l’Asian Network for Free Elections è passata da 74 a 30. Dunque sabato scorso l’unica organizzazione minimamente presente sul territorio è stata la Fefa, la Fondazione afghana per elezioni libere e trasparenti, che sostiene che le elezioni si siano svolte in un quadro di diffuse irregolarità. In un comunicato, la Fefa descrive seri incidenti in almeno 389 seggi nel Paese che hanno causato decine di morti. Inoltre, nelle province di Kunar, Khost e Kandahar alcuni seggi sono stati fatti saltare in aria, mentre nelle province di Laghman, Kunduz e Badghis altri seggi sono stati occupati dai talebani e le votazioni sono state interrotte. Fra le irregolarità registrate, sono state segnalate violenze di candidati e loro sostenitori, schede false nelle urne, inchiostro non indelebile, chiusura anticipata di seggi e ingresso di candidati non autorizzati.
MINACCE FILO-GOVERNATIVE – Giornalisti e osservatori stranieri hanno largamente confermato le denunce della Fefa. Alcuni hanno riferito al britannico Daily Telegraph che i sostenitori del regime di Karzai sono arrivati ad offrire agli alti ufficiali delle elezioni ben 500.000 dollari per falsificare i risultati. Un altro osservatore, Stephen Carter, ha detto allo stesso giornale che “il processo elettorale … sembra più un mercato” dove si vendono voti e si testa quanto si è bravi a organizzare i brogli. Il britannico Guardian ha riportato le intimidazioni agli elettori di Kabul, dove 800 soldati governativi hanno marciato fino al seggio della scuola superiore Pul-e-Charki per minacciare chi avesse avuto intenzione di votare i candidati anti-governativi. Un residente, Khaliq Noor, ha detto al Guardian che “nelle aree poco sicure del Sud le persone non possono votare per via di al-Qaida, ma a Kabul abbiamo una al-Qaida interna che non ci lascia votare!”.
15% DEI SEGGI CHIUSI – Il New York Times ha scritto che “al seggio della Ghazi Khan High School di Kunduz City, gli osservatori stranieri e i giornalisti hanno osservato gli scrutatori e i sostenitori di alcuni candidate chiudere le porte per due ore” e votare al posto di altre persone. Il giornale statunitense ha anche stazionato il corrispondente Elisabeth Bumiller a Marja, il distretto che ha ospitato una famosa battaglia statunitense qualche mese fa. La giornalista ha riportato un’affluenza del 10%, mentre intorno alla cittadina la battaglia tra marines e talebani non ha conosciuto sosta. Time sul suo website ha titolato: “A Bad Case of Déjà Vu”, paragonando queste elezioni alla farsa del voto presidenziale del 2009. Il Washington Post ha scritto che le elezioni hanno “rivelato un elettorato disincantato e un’insurrezione in aumento”. Addirittura, in alcune aree meridionali e orientali del paese, quali le province di Kandahar e Helmand, non si è votato affatto: per ragioni di sicurezza circa il 15% dei seggi non hanno nemmeno aperto le porte, privando dunque del diritto di voto centinaia di migliaia o milioni di cittadini.
ELEZIONI FARSA – In definitiva, è successo di tutto e di più in un Paese, oltretutto, dove il voto non avrebbe potuto comunque esprimere la libera volontà popolare per una fondamentale ragione: l’Afghanistan è una nazione sotto occupazione straniera, nel bel mezzo di una guerra civile e con un regime che si regge in piedi solo grazie alla diffusa corruzione e all’appoggio delle truppe di occupazione, teoricamente “legittimato” dalle elezioni presidenziali più ridicole che si ricordino a memoria d’uomo. Come se non bastasse, la camera bassa che ne uscirà non avrà comunque nessuna possibilità di frenare il volere del regime fantoccio di Karzai. I 249 parlamentari saranno in larghissima maggioranza indipendenti, non legati a nessun partito, e cioè facilmente acquistabili dal miglior offerente, ossia il Governo, che controllando direttamente o indirettamente banche, “aiuti internazionali” e trafficci di droga possiede immensi capitali per comprare il voto di chicchessia.
BASSA AFFLUENZA – Di fronte a questa farsa dalla proporzioni colossali, le autorità hanno millantato un’affluenza al 40%, ma “40% di cosa?” – ha domandato il giornalista Martine van Bijlert. La cifra reale povrebbe essere intorno al 25 o al 30% degli aventi diritto, con grandi differenze territoriali. Si è trattato dunque di una sorta di replay della grande truffa delle elezioni presidenziali dell’anno scorso – nelle quali Karzai si assicurò la vittoria grazie a massicci brogli elettorali – ma con un’affluenza ancora minore. Per cercare di spiegare il fallimento, il Ministro della Difesa afghano Abdul Rahim Wardak ha ammesso che l’influenza politica dei talebani sta crescendo: “una delle possibili ragioni [della bassa affluenza] è che la propaganda del nemico abbia influenzato la psiche della popolazione”. Nonostante tutto questo, la comunità internazionale, dalla Clinton al segretario generale della Nato Rasmussen, ha espresso soddisfazione per lo svolgimento del processo elettorale. E’ il chiaro segno che non esiste praticamente limite a quella farsa che qualcuno continuerà impunemente a definire “democrazia”.
CRIMINALITA’ IN PARLAMENTO – I brogli massicci e generalizzati insieme alle violenze, sia quelle commesse dalle milizie governative sia quelle degli insorgenti, non potranno che delegittimare ulteriormente il regime fantoccio del presidente Karzai e la posizione di chi in Occidente sostiene questa leadership, USA e NATO in testa. E dire che, e sarebbe ironico se non fosse profondamente tragico, da queste elezioni non potrà venir fuori nulla di peggiore del Parlamento uscente, che secondo un rapporto della Commissione afgana indipendente per i diritti umani è composto per il 60% da individui legati a gruppi armati, ovvero alle mai disarmate fazioni di mujaheddin dell’ex Alleanza del Nord, con almeno 40 parlamentari tuttora comandanti di tali milizie, mentre 24 sono capi della criminalità organizzata, 17 sono noti trafficanti di droga e su 19 pendono accuse di gravi crimini di guerra e violazioni di diritti umani.
LA BUGIA SMASCHERATA – Ha scritto su Al-Jazeera Robert D. Crews, professore alla Stanford University, che negli ultimi anni “un’errata fede nelle soluzioni militari ha portato a sottovalutare l’importanza della sfera politica, con gli USA che hanno largamente ignorato l’evoluzione della societa’ afghana”. Mentre “per porre termine alla guerra occorrerebbero degli sforzi ben piu’ seri miranti ad includere le opposizioni nel gioco politico”. Ma tutto questo non pare essere nelle intenzioni di Karzai e dei suoi sponsor a Washington. Intanto, i risultati delle elezioni non verranno resi noti prima di novembre ma, qualunque sarà il risultato sbandierato, agli occhi degli osservatori tutto il processo non sarà servito a molto più che a smascherare per l’ennesima volta la bugia servita a giustificare l’invasione e l’occupazione di questo paese per 9 anni, vale a dire la pretesa di “esportare democrazia”. Lo scopo principale dell’occupazione era ed è quello di trasformare questo Paese in una base operativa per gli Stati Uniti per portare avanti le sue ambizioni di dominazione neo-imperiale delle regioni energeticamente ricchissime del Medio Oriente e dell’Asia Centrale.