«L’operazione “Iraqi Freedom” è terminata. Il popolo iracheno ora ha la responsabilità della sicurezza del proprio paese». E’ iniziato così, il 31 agosto scorso, il discorso alla nazione del Presidente statunitense Barack Obama. Passerà alla storia come la seconda ”Mission Accomplished”, dopo quella di Bush del 2003.
L’OCCUPAZIONE
In realtà, oggi come allora, Washington non ha nessuna intenzione di porre fine alla sua presenza militare in Iraq, dove gli USA mantengono 50.000 soldati, continuano a costruire basi militari permanenti e non hanno dotato l’esercito iracheno della benché minima forza aerea, strumento fondamentale per tenere a bada i gruppi armati ribelli che ancora vi operano. Questa robusta presenza militare serve a continuare a portare avanti quella stessa agenda imperialista che portò all’invasione di sette anni fa. Lo scopo: imporre l’egemonia statunitense in un’area ricchissima di petrolio e di straordinaria importanza geo-politica.
PROMESSE ELETTORALI
Il discorso del 31 agosto, a un tempo incoerente e incredibilmente rivelatorio, per chi aveva creduto alle promesse elettorali di Obama ha rappresentato il definitivo e traumatico risveglio da un sogno. In primis, il Presidente ha cercato disonestamente di autocongratularsi per aver mantenuto le promessa elettorali. Al contrario, uno dei punti di forza della sua campagna elettorale era la promessa che avrebbe iniziato il ritiro dall’Iraq immediatamente e che lo avrebbe concluso entro 16 mesi, mentre in realtà Obama ha finito per adottare il piano di graduale riduzione delle truppe elaborato da Bush stesso.
RETORICA MILITARISTA
In secondo luogo, Obama non ha resistito alla retorica militarista di posare un manto di gloria eterna sulle “nostre truppe”, di fatto distorcendo completamente il vero carattere della guerra all’Iraq, ignorando i crimini di guerra e dunque ridipingendo uno dei più vergognosi capitoli della storia statunitense con una vernice di eroismo e patriottismo. Particolarmente stridenti sono state le poche parole spese da Obama riguardo al popolo iracheno, descritto come il fortunato beneficiario del senso di sacrificio per la causa dell’America, che ha regalato a questo paese lontano ”l’opportunità di abbracciare un nuovo destino”. Inoltre, mentre ha ricordato che “migliaia di americani hanno perso la vita”, ha completamente omesso che gli iracheni morti sono stati centinaia di migliaia.
L’IRAQ OGGI
Dopo aver speso 750 miliardi di dollari nell’invasione e nella settennale occupazione dell’Iraq, oggi gli iracheni non soffrono più il dominio incontrastato di un crudele dittatore, ma rimangono una nazione sotto occupazione straniera, dilaniata dalla violenza quotidiana e dall’odio settario, con un parlamento che non svolge le sue funzioni dal gennaio scorso e con un sistema politico bloccato fra diversi interessi, classi, etnie e sette religiose. Tutto ciò significa che quello che è stato per decenni uno dei paesi più ricchi e con meno differenze sociali del Medio Oriente è stato ridotto ad un Paese sull’orlo della guerra civile, una nazione di profughi, vedove, invalidi e disoccupati, alla mercé degli interessi divergenti degli invasori e delle potenze regionali.
LODARE BUSH
Ma questo non è tutto. Non una sola parola è andata a criticare G.W.Bush, che iniziò questa guerra in barba alla pressoché unanime opposizione della comunità internazionale e dell’opinione pubblica mondiale. Al contrario, nel suo discorso Obama fa addirittura sua la bugia con la quale il suo predecessore giustificò l’inizio della carneficina, in realtà decisa e pianificata anni prima, affermando che è stata “una guerra per disarmare uno stato”. Disarmare l’Iraq da armi inesistenti? E oggi in Iraq ci sarebbero meno armi di quante ce n’erano prima dell’occupazione americana? Ma oltre ad omettere, Obama ha letteralmente tessuto le lodi del suo predecessore: “nessuno può mettere in dubbio il supporto del Presidente Bush per le nostre truppe, il suo amore per il paese e il suo impegno per la nostra sicurezza”. Questo proverebbe che “ci sono stati veri patrioti che hanno sostenuto questa guerra, e patrioti che si sono opposti.”
IL MITO DELL’EROE
Dopo la riabilitazione del criminale di guerra Bush, trasformato da principale responsabile di un’aggressione illegale contro un Paese sovrano a “patriota” americano, Obama ha ritenuto opportuno chiudere il suo discorso alla nazione dichiarando che “ogni americano che decide di arrualarsi entra a far parte di una lunga fila di eroi” che in Giappone, in Corea, in Vietnam, in Afghanistan e via dicendo “hanno lottato per vedere la vita dei nostri figli migliore della nostra”. “Le nostre truppe – ha concluso Obama – sono l’acciaio della nave che e’ il nostro stato. E anche se la nostra nave sta navigando in acque pericolose, ci danno fiducia che la nostra rotta e’ quella giusta”. Una retorica militarista, un discorso che pare copiato da un gerarca fascista o un generale sovietico. Ma mettere al cuore dello stato le truppe armate impegnate in una guerra di occupazione in un altro paese, e non il popolo o la Costituzione, è quanto di più lontano possa esserci dagli ideali di democrazia, giustizia, libertà e autodeterminazione dei popoli. E quando frasi del genere sono pronunciate da un Presidente degli Stati Uniti durante un solenne discorso alla nazione trasmesso in diretta a reti unificate… allora anche la Speranza è morta e sepolta.
Di Alessio Fratticcioli (scritto per Orizzonti Nuovi, settembre 2010, pag. 22)