Atto sconsiderato dalle conseguenze imprevedibili. La tragica telenovela sionista che va avanti da decenni ci regala un nuovo ingiustificabile e inumano atto di sangue. Nella notte, la marina militare israeliana ha preso d’assalto una nave del convoglio Freedom Flotilla, organizzato da pacifisti e Ong internazionali. La nave era diretta verso la citta’ palestinese di Gaza per portare degli aiuti umanitari, ma e’ stata attaccata in acque internazionali, a circa 75 miglia al largo della costa, in violazione del diritto internazionale Almeno 19 i morti, le cui nazionalita’ non sono ancora state rese note. Molti i feriti.
Oggi nessun filo-israeliano, nessun sostenitore sfegatato dello Stato Ebraico e del sionismo può parlare di diritto di difesa, di pericolo immanente. Quelle navi portavano solo aiuti umanitari, non armi. A bordo c’erano pacifisti, non terroristi. E l’eventuale resistenza opposta dagli assaliti non può giustificare la reazione assassina e dunque assolutamente spropositata dei soldati di Tsahal.
Il fatto che quest’anno la Freedom Flottilla avesse come suo principale sponsor politico-organizzativo la Turchia, un membro della Nato, peso massimo nella geo-politica del Medio Oriente allargato e alleato di ferro di Washington, significa che le conseguenze politiche e diplomatiche dell’attacco potrebbero essere serissime.
Con questa strage, paradossalmente il governo israeliano ha creato un episodio che danneggerà innanzitutto la credibilità di Israele e a lungo termine indebolirà il diritto alla sicurezza e la stessa legittimità dello Stato ebraico, che oggi ha probabilmente perso il suo migliore alleato nell’area: la Turchia.
Perentoria e’ stata infatti l’immediata condanna di Ankara, nella forma di un comunicato diffuso dal Ministero degli Esteri: “I militari israeliani hanno usato la forza contro civili, tra cui donne, bambini e vecchi di vari Paesi che volevano portare aiuti umanitari a Gaza. Israele colpendo civili innocenti, ha ancora una volta dimostrato di ignorare del tutto la vita umana e le iniziative di pace e noi condanniamo con forza tale inumano trattamento da parte di Israele”.
Anche tutto il resto della comunita’ internazionale ha risposto immediatamente in modo eccezionalmente fermo e unanime nel condannare l’atto barbarico commesso da Israele.
Il Ministro degli Esteri turco ha definito l’aggressione “inaccettabile” e ha messo in guardia Tel Aviv da “conseguenze irreparabili”.
Il presidente palestinese Abu Mazen ha condannato il raid israeliano definendolo “un massacro” e ha decretato tre giorni di lutto nei Territori palestinesi.
Hamas ha parlato di “terrorismo organizzato di Stato”.
L’Autorità nazionale palestinese ha chiesto una riunione urgente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
La regina di Giordania Rania, di origine palestinese, ha affidato a Twitter tutta la sua indignazione: “Il coraggio e il sacrificio di quelli che, nel nome della giustizia, si trovavano a bordo mi fa sentire piccola. Ogni nave che cerca di rompere il blocco è una nave della speranza, perché il 95 per cento dell’acqua potabile a Gaza è al di sotto degli standard dell’Oms e questo mette migliaia di neonati a rischi di avvelenamento; un terzo delle scuole è stato distrutto durante l’operazione ‘piombo fuso’ e non è stato ancora ricostruito; il 95 per cento delle attività commerciali è fallito per l’assedio e l’80 per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà”.
L’Unione Europea ha sollecitato un’inchiesta accurata sul sanguinoso attacco alla flotta umanitaria e ha esortato Israele a consentire il libero fluire degli aiuti umanitari verso la Striscia di Gaza.
Ban Ki-Moon si e’ detto “profondamente sconvolto”.
La Lega araba terrà domani una riunione straordinaria. Il segretario generale dell’organizzazione panaraba, Amr Moussa, ha spiegato che “una riunione si terrà al Cairo per adottare una posizione araba collettiva”
La Spagna, presidente di turno dell’Unione europea, convoca l’ambasciatore israeliano. “Vogliamo spiegazioni” Il Presidente francese Sarkozy ha parlato di “uso della forza sproporzionato”, la Germania si e’ detta “sconvolta”. Il Consiglio dei ministri del Kuwait convocherà una riunione straordinaria per discutere l’azione israeliana e valutare il da farsi. La Russia ha parlato di “violazioni enormi del diritto internazionale” e ha condannato l’incidente esprimendo preoccupazione: “bisogna chiarire la situazione”. Il governo della Grecia ha convocato l’ambasciatore d’Israele per ottenere spiegazioni. Lo stesso hanno fatto Belgio, Svezia, Giordania ed altri paesi, tutti dichiarando di essere stati sconvolti dall’accaduto.
Come spesso accade, l’Italia si distingue negativamente, costituendo praticamente l’unica nota stonata all’interno di un concerto internazionale di indignazione. Ingatti mentre il ministro degli Esteri italiano Frattini chiede “spiegazioni” a Israele, il solito sottosegretario Alfredo Mantica, ex fascista che al tempo della vicenda del rapimento dei cooperanti di Emergency il mese scorso avallo’ la tesi che i tre italiani fossero dei terroristi assassini, non manca occasione per coprirsi di ridicolo definendo i pacifisti dei “provocatori”.
Si attende ora la reazione del principale colpevole di questa situazione: Washington. Come ha scritto ha scritto Umberto De Giovannangeli su Limes,
una reazione inadeguata alla enormità del fatto alimenterebbe la convinzione che nel tormentato Medio Oriente, l’Occidente, gli Usa in primis, continuino ad adottare la politica dei “due pesi, due misure”, dove la misura adottata verso Israele è quella della sostanziale impunità. Ma questa tragedia annunciata è anche un banco di prova per Israele, per la sua democrazia: giustificare l’attacco, o pensare di risolvere il tutto con parole di rincrescimento, sarebbe una ulteriore prova di arroganza. E di debolezza.
Perché aprire il fuoco su quelle navi non è un segno di forza, ma di debolezza, di vuoto politico. La psicosi dell’accerchiamento, il sentirsi perennemente in trincea, sta portando Israele ad un passo dal baratro, trasformandolo in un ghetto atomico in guerra contro tutto e tutti. Alla fine, anche contro se stesso.