La pianta più popolare e più criminalizzata al mondo
(Asiablog.it) — Il termine “proibizionismo” si riferisce a quel particolare orientamento ideologico e legislativo che tende a vietare l’uso di alcune sostanze in base alla loro presunta o accertata pericolosità. Questo orientamento discende dall’idea che le organizzazioni e gli stati abbiano il dovere di proteggere la salute del cittadino e l’ordine sociale dalle conseguenze dell’uso delle sostanze stesse. In pratica, proibizionismo significa limitare la libertà individuale per motivi di salute, ordine pubblico, morale, o rispetto di tradizioni e/o religioni. Date queste premesse, non stupisce che la discussione sulla proibizione di determinate sostanze sia all’ordine del giorno dalla notte dei tempi.
Negli Stati Uniti, il termine Proibizionismo indica in particolare il periodo tra il 1919 e il 1933. In un periodo di crescente puritanesimo e di una sempre più vistosa presenza di disordini sociali causati, secondo i proibizionisti, principalmente dall’alcol, nel gennaio del 1919 il governo federale degli Stati Uniti ratificò, tramite il XVIII emendamento, la legge per cui “la produzione, la vendita e il trasporto di alcolici viene vietata”.
Molti cittadini statunitensi dissentirono fortemente. Molti non smisero di bere. E’ vero che nel giro di quattro anni la media nazionale dei consumi alcolici, almeno ufficialmente, crollò da ventisette litri a quattro litri a persona, ma molti continuarono a far uso di alcolici illegalmente, a casa propria oppure ritrovandosi in appositi bar clandestini.
Il proibizionismo creò il fenomeno del gangsterismo: bande criminali di stampo mafioso dedicate al contrabbando di alcolici. Malumori, disordini e la criminalità causata da tale legge spinsero il legislatore a decretare la fine del Proibizionismo dopo soli 14 anni: nel dicembre del 1933 l’alcol tornò ad essere legale. Negli USA il Proibizionismo fallì completamente.
Come negli Usa quasi un secolo fa, oggi in molti paesi al mondo si pratica il proibizionismo. In alcuni Paesi a maggioranza musulmana l’alcol è vietato, ma in quasi tutti i Paesi del mondo ad essere proibito è il consumo di droghe leggere, per cui la vendita, l’acquisto e/o il possesso di queste sostanze sono reati. In alcuni Paesi, il crimine è punito con la pena di morte.
La CANNABIS presso i popoli antichi
La pianta della Cannabis, conosciuta anche con il nome di marijuana e ganja (dal Sanskrito: गांजा – gañjā), è una piana straordinaria: rappresenta l’unica pianta al mondo che può essere utilizzata al contempo come droga o come fibra. Considerata la sua specificità, non stupisce che la sua coltivazione risalga ad almeno 10mila anni orsono. Le prove sono state trovate nell’isola di Taiwan (si legga Peter Stafford, Psychedelics Encyclopedia. 1992. Psychedelics Encyclopedia. Berkeley, California, United States: Ronin Publishing), come anche in alcune grotte nell’odierna Romania.
Nata in Asia, probabilmente in Asia Centrale, la cannabis è utilizzata per scopi medici, spirituali, religiosi o ricreativi (tramite inalazione o vaporizzazione) da almeno 5.000 anni (si legga Richard Rudgley. 1998. Lost Civilisations of the Stone Age. New York: Free Press. ISBN 0-6848-5580-1). Sappiamo per certo che gli Ariani fumavano cannabis (Franck Mel, 1997, Marijuana Grower’s Guide. Red Eye Press. ISBN 0-9293-4903-2) e potrebbero essere stati proprio gli ariani ad insegnare le proprietà della cannabis sia ai popoli indiani (probabilmente ci si riferisce alla cannabis quando nei Veda, i testi sacri indù, si parla di allucinogeni intossicanti) che agli antichi assiri. Un trattato di farmacologia cinese attribuito all’Imperatore Shen Nung, datato 2737 a.C., contiene il primo riferimento all’utilizzo della cannabis come medicina.
Gli Antichi Greci amavano e idealizzavano il vino e non utilizzavano la marijuana per uso ricreativo, ma ci sono molti testi che attestano i loro commerci con popoli che mangiavano o inalavano la cannabis. Erodoto nel 5 a.C. scrive che gli sciti (popolazione seminomade di origine iranica) coltivavano e poi vaporizzavano la cannabis. In un’altra occasione, sempre Erodoto scrive che gli abitanti di alcune isole mediterranee buttavano la cannabis al fuoco e poi, “seduti intorno in circolo, inalano e vengono intossicati dall’odore, proprio come i Greci col vino, e più se ne butta più diventano intossicati, fino a che si alzano e ballano e cantano”.
Altri passaggi di Plinio, Marco Polo, Abu Mansur Muwaffaq e The Arabian Nights dimostrano senza ombra di dubbio che la cannabis era coltivata sia per la sua fibra sia per le sue proprietà psicoattive in tutta l’Asia, nel Medio Oriente e in gran parte dell’area del Mediterraneo sin dalla notte dei tempi. Ad esempio le vele delle navi dei Fenici erano di fibra di canapa.
La data in cui la cannabis è stata introdotta in Europa centrale, settentrionale e occidentale è sconosciuta, ma probabilmente risale ad almeno 500 anni prima di Cristo, in quanto a Berlino è stata ritrovata un’urna contenente foglie e semi di cannabis risalente a circa 2.500 anni fa. Sempre qualche secolo prima di Cristo, prima dell’avvento dell’Impero Romano, vari popoli europei come i Celti e i Pitti coltivavano e utilizzavano cannabis.
Da allora in poi, in Europa la coltivazione della cannabis è stata comune, se non massiccia, per secoli. Vestiti di canapa sono stati comunissimi in Europa centrale e meridionale per secoli. Ma gli europei conoscevano, ovviamente, anche le potenzialità ricreative della pianta. Nonostante nel 1484 una bolla papale ne vietò l’uso ai fedeli, Francois Rabelais ne scrive ampiamente nel sedicesimo secolo. Nei secoli successivi, nonostante la condanna della Chiesa, l’utilizzo della cannabis a scopo ricreativo divenne una vera e propria moda tra gli intellettuali, tanto che a Parigi nacque il Club des Hashischins, o Club dei mangiatori di hashish, frequentato da poeti e scrittori del calibro di Victor Hugo, Alexandre Dumas, Charles Baudelaire, Honoré de Balzac e Théophile Gautier.
Dall’antichità fino all’industrializzazione, la canapa e’ stata utilizzata anche per fare la carta. La celeberrima Bibbia di Gutenberg, il primo libro stampato in Europa con la tecnica dei caratteri mobili, fu stampatata nel 1453 su carta di canapa importata appositamente dall’Italia. Alla fine dello stesso secolo, le vele delle navi delle caravelle di Cristoforo Colombo erano di canapa.
L’uso della cannabis era diffuso anche in Africa secoli prima della colonizzazione europea. Nel continente nero la cannabis era coltivata, utilizzata come fibra e come medicinale, inalata e a volte venerata in aree diversissime: dal Sud Africa al Congo al Marocco.
Nel diciottesimo secolo, la cannabis era diffusissima in Nord America. La maggioranza dei terreni del fondatore degli Stati Uniti, George Washington, erano coltivati a canapa. Anche Thomas Jefferson aveva una grande e remunerativa coltivazione di canapa. Nel 1850 negli Stati Uniti c’erano 8.327 piantagioni di canapa (ogni piantagione aveva come minimo 2000 acri di terreno), utilizzate soprattutto per la produzione di fibra. La Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti fu stesa su carta di canapa
CANAPA, l’Italia era leader mondiale
Anche l’Italia è stata per secoli un’importantissima produttrice di cannabis. Il motivo è semplice: il clima della penisola è particolarmente favorevole alla coltivazione di questa pianta. In particolare, i contadini italiani producevano Cannabis per due ragioni. Da una parte, perché cresceva su terreni difficili da coltivare con altre piante industriali (terreni sabbiosi e zone paludose nelle pianure dei fiumi), dall’altra perché c’era sempre bisogno di piante “oleose” (sativa, luce), “fibrose” (tessili, carta, corde) e di mangime (foglie) per il bestiame produttivo.
Eccelsero tra le terre da canapa Bologna e Ferrara. Testimonia la vitalità dell’economia canapicola felsinea il maggiore agronomo bolognese del Seicento, Vincenzo Tanara, con una lunga, accurata descrizione della tecnica colturale. Grazie alla qualità delle sue canape, l’Italia divenne il secondo produttore mondiale di canapa ed il primo fornitore della marina britannica. Il tramonto iniziò con la diffusione delle navi a carbone, quando per le zone produttrici di canapa iniziò una lenta agonia, che si protrasse lungo un secolo costringendo alla ristrutturazione di tutte le rotazioni agrarie (si veda Antonio Saltini, “Nell’area dell’antica canapicoltura emiliana tra Ottocento e Novecento: cedimenti, speranze, il tracollo”, in Aa. Vv. Una fibra versatile. La canapa in Italia dal Medioevo al Novecento, Clueb, Bologna 2005).
La demonizzazione della CANNABIS
Durante la Seconda Guerra Mondiale però la produzione medioeuropea e mediterranea tornava ad aumentare velocemente, perché le fibre tessili e gli oli sativi diventavano più costosi. In più, esisteva l’esigenza di materie prime contenenti molta cellulosa da cui poter ricavare esplosivi ottenuti producendo nitrocellulosa. Ma il Marijuana Tax Act del 1937 diede il colpo di grazia alla coltivazione della canapa, mettendola al bando negli USA. Si accusò pseudo-scientificamente la cannabis di far diventare le persone violente e di farle impazzire o morire. Di riflesso, negli anni seguenti la canapa venne bandita in gran parte del resto del mondo.
Il direttore del Federal Bureau of Narcotics americano, Harry J. Anslinger, era uomo ambizioso, razzista e bigotto, che giustificò la proibizione con le seguenti parole:
Negli Stati Uniti d’America ci sono 100mila fumatori di marijuana. La maggior parte di loro sono negri, ispanici, filippini e artisti. La loro musica satanica, il jazz, lo swing, sono il risultato dell’uso di marijuana. La marijuana provoca nelle donne bianche il desiderio di intrattenere rapporti sessuali con negri, artisti e altri.
(…) la prima ragione per mettere la marijuana fuori legge è il suo effetto sulle razze degenerate.
La marijuana è una droga che provoca assuefazione e produce negli utilizzatori insanità, criminalità e morte.
La marijuana porta al lavaggio del cervello pacifista e comunista.
Gli spinelli inducono i negri a pensare che sono come gli uomini bianchi.
Fuma uno spinello e probabilmente ucciderai tuo fratello.
La marijuana è la droga che più ha causato violenza nella storia dell’uomo.
Oltre al bigottismo, dietro alla campagna proibizionista c’erano interessi economici. La famosa casa editoriale/cartaria Hearst, la maggior sostenitrice tramite i suoi quotidiani della campagna anti cannabis, aveva appena effettuato enormi investimenti sulla carta da albero. Il suo proprietario William Randolph Hearst, magnate della carta stampa e personaggio che ispirò Orson Welles nella figura del Citizen Kane nel film “Quarto potere”, dichiarò sul Newspaper Tycoon le seguenti assurdità:
“la marijuana è la strada più breve per il manicomio, fuma la marijuana per un mese e il tuo cervello non sarà niente più che un deposito di orridi spettri, l’hashish crea un assassino che uccide per il piacere di uccidere.”
I giornali di Hearst portarono avanti per anni una enorme campagna di disinformazione e propaganda proibizionista contro la cannabis, attribuendole falsamente una miriade di “mali sociali”, dagli assassini al comunismo, dal pacifismo all’infedeltà coniugale, fino ad arrivare ai rapporti sessuali tra “donne bianche e razze inferiori”. Spesso si leggevano titoli del genere:
.“I TRE QUARTI DEI REATI in questo paese sono CAUSATI DALLA MARIJUANA”.
Contemporaneamente la DuPont brevettò il nylon. Secondo alcuni studiosi tutte queste non furono semplici coincidenze. Dal 1937 a oggi 20 milioni di statunitensi sono stati arrestati e incarcerati per detenzione o utilizzo della droga più popolare e meno nociva del mondo.
Le Nazioni Unite stimano che oggi circa il 4% della popolazione mondiale adulta (162 milioni di persone) usa la Cannabis almeno una volta l’anno, mentre lo 0,6% (22,5 milioni) la utilizza giornalmente (United Nations Office on Drugs and Crime, 2006, “Cannabis: Why We Should Care“). Ciò dimostra che ancora oggi la Cannabis, nonostante decenni di Proibizione nella stragrande maggioranza dei paesi del mondo, rimane una droga immensamente popolare, seconda solo ad alcol, caffeina e tabacco, sostanze che però sono considerate legali in quasi tutti i paesi. Solo negli Stati Uniti, più di 100 milioni di cittadini hanno provato la Cannabis almeno una volta, e persino due presidenti (Clinton e Obama) hanno ammesso pubblicamente di aver fumato marijuana.
La Fini-Giovanardi: pregiudizi pseudoscientifici fatti legge.
In Italia, la Legge Fini-Giovanardi si caratterizza per l’ulteriore inasprimento delle sanzioni relative a produzione, traffico, detenzione ed uso di sostanze stupefacenti. Ma quel che è peggio è che la la Fini-Giovanardi ha introdotto l’abolizione della distinzione tra droghe leggere (come la cannabis) e droghe pesanti, quali eroina o cocaina.
Si tratta di pregiudizi che diventano legge dello Stato. Difatti numerosi studi scientifici (tra i quali un recente studio condotto dal professor David Nutt dell’Università di Bristol e pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica The Lancet), dimostrano l‘assurdità dell’equiparazione tra cannabis ed eroina. Stesso discorso per l’arbitraria e pseudoscientifica esclusione di tabacco e alcol dalla lista delle droghe fatta dalla Legge Fini-Giovanardi attualmente in vigore in Italia.
Commentando le tabelle del governo britannico (non molto dissimile, per i criteri adottati e per la lista di sostanze considerate illegali, da quello italiano), il Prof. Nutt ha spiegato che «l’attuale concezione delle droghe è mal concepita». In particolare, «l’esclusione di alcol e tabacco è dal punto di vista scientifico arbitraria». Basti ricordare che il tabacco è causa del 40% di tutti i ricoveri ospedalieri (ne è quantomeno una concausa) e l’alcol causa oltre il 50% delle emergenze da pronto soccorso. Inoltre l’alcol ha un alto tasso di pericolosità sociale (2,2 in una scala da 0 a 3) ed è secondo in questa classifica solo all’eroina. Mentre il tabacco dà una dipendenza inferiore solo a eroina e cocaina. Il Prof. Nutt spiega che la cannabis causa un danno fisico minore di eroina, cocaina, barbiturici, metadone, alcol, chetamina, benzodiazepine, anfetimine, tabacco e buprenofine.
Come si legge nella tabella in alto, i barbiturici sono terzi per pericolosità, l’alcol è quinto, il tabacco nono, mentre la cannabis è solo 11esima. Ovviamente, i risultati dello studio di Nutt vanno usati con le pinze, anche perché si riferiscono non alla sostanza in sé, ma al suo uso tipico. Rimane comunque il fatto che la criminalizzazione dell’utilizzatore di cannabis fatta dalla Fini-Giovanardi, che invece non prende provvedimenti nei confronti di sostanze altrettanto o maggiormente dannose, come l’alcol o il tabacco, sostanze che rimangono legali e tassata salatamente, è “mal concepita e scientificamente arbitraria”, spiegabile solo con una forte dose di ideologia, bigottismo, e/o demagogia sulla pelle delle persone.
Il Proibizionismo Uccide
Mentre il centro-destra italiano è schierato compatto a difesa della pseudoscientifica Legge Fini-Giovanardi, il PD anche su questo tema si divide al suo interno. Oggi in Italia gli unici movimenti politici che si dichiarano decisamente favorevoli alla liberalizzazione delle droghe leggere sono Sinistra e Libertà, Radicali e Rifondazione Comunista. Anche il noto blogger Beppe Grillo, nel post Il Proibizionismo Uccide, si è schierato a favore della legalizzazione delle droghe leggere, ricordando tra l’altro che troppe persone vengono arrestate e non tornano più a casa per uno spinello, da Aldo Bianzino a Stefano Frapporti. Questo accade mentre in alcuni Paesi la marijuana è libera, tassata, controllata e trattata in modo simile a quello di sostanze quali il tabacco o l’alcol.
Polemizzando, potremmo dire che in Italia si criminalizza la canapa e chi la utilizza mentre c’è, di fatto, libera circolazione delle droghe pesanti per chi se lo può permettere, tanto che il sottosegretario Gianfranco Miccichè è balzato alle cronache con l’accusa di essersi fatto recapitare cocaina direttamente al ministero. A Milano i consumatori abituali di cocaina sono stimati in 150.000. Il porto di Gioia Tauro è la porta d’ingresso per ogni tipo di droga in Europa. Napoli è il centro di un’industria che, secondo alcune stime, fattura 60 volte di più della FIAT e 100 più della Benetton. E intanto lo Stato criminalizza il piccolo consumatore di cannabis e spende risorse per bloccarne il commercio. E dire che il problema dell’affollamento delle carceri potrebbe essere affrontato a partire dalla depenalizzazione dell’uso delle droghe leggere, considerando che un detenuto su tre è in galera per reati legati agli stupefacenti. Per togliere soldi alle Mafie, si potrebbe iniziare col sottrargli il business delle droghe. Quando un problema si dimostra irrisolvibile, come provato dal fallimento del Proibizionismo, è molto più saggio cercare di controllarlo e ridurlo. E tassarlo.
La legalizzazione potrebbe:
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colpire la criminalità togliendogli un business miliardario (in Italia si parla di un giro d’affari di 5-10 miliardi di euro l’anno).
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trasformare la droga da problema di legge e ordine a questione di salute.
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permettere al Governo di tassare e regolamentare il commercio della droga e usare queste entrate per educare i cittadini sui rischi delle droghe e curare i tossicodipendenti.
Per quanto riguarda l’Istruzione: il Governo potrebbe utilizzare gli introiti fiscali per fornire adeguate informazioni, magari già a scuola, sui rischi per la salute che si corrono assumendo alcol e droghe.
Per quanto riguarda la Cura: calcolando attentamente i prezzi da porre e la tassazione da applicare, i governi potrebbero guidare i consumatori attraverso la strategia della “riduzione del danno”. Le risorse ottenute dalle tasse, insieme a quelle risparmiate dalla “lotta contro la droga”, permetterebbero ai governi di curare adeguatamente i tossicodipendenti. Il successo dei Paesi sviluppati nelle campagne contro il tabacco, che è materia simile in quanto a tasse e regolamentazione, costituisce un punto di partenza e un motivo di speranza: negli ultimi decenni la lotta al tabagismo ha ottenuto risultati importanti.
Legalizzando le droghe, il consumo aumenterebbe?
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NO. È dimostrato dai Paesi che hanno già legalizzato, come i Paesi Bassi (Olanda), o dal fatto che negli ultimi anni il consumo di sigarette (tabacco) è in calo nella maggioranza dei Paesi occidentali nonostante il tabacco sia legale.
MENO CONSUMATORI. In percentuale alla popolazione, nei Paesi Bassi ci sono MENO consumatori abituali di droghe leggere che in Italia, Germania, Spagna o Gran Bretagna.
MENO MORTI. Nei Paesi Bassi il numero dei morti per droga (in proporzione al totale della popolazione) è MINORE della media UE. Inoltre il Governo olandese può aiutare circa il 90% dei tossicodipendenti con programmi di disintossicazione.
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Molto interessante e ben scritto, complimenti anche per il coraggio di trattare un argomento così controverso in uno spazio ancora rischioso come il web e i domini “.it”!
Chapeau.
Pingback: Cannabis: usi di ieri e antiproibizionismo di oggi. Feedback e considerazioni in merito. – Nulla muterà se non contribuiremo noi al suo mutare
Trovo il post molto istruttivo anche se potrebbe sembrare ripetitivo rispetto a cose di cui si parla comunemente dal vivo.
È sempre meglio diffondere informazione con tutti i mezzi disponibili.
Vi seguirò senz’ altro.
Non so se posso scriverlo qui…
Ho appena creato una pagina Facebook che tratta lo stesso argomento e cercando su Google è uscito questo blog.
Posso linkarlo alla mia pagina?
Buon articolo e supportato dai dati