Sono rimasto di sasso nel leggere l’editoriale di Eugenio Scalfari. E dire che da ragazzo, la mattina prima di entrare a scuola, non vedevo l’ora di spendere le mie quattro lire per comprare La Repubblica. Lo vedevo come un quotidiano “illuminato”, prima che alla fine degli anni ’90 i continui vagheggiamenti e le sempre più stanche e pesanti elucubrazioni sulla necessità storica di creare un “partito riformista” me ne alienarono la simpatia. Oggi mi sorprendo e rattristo nel constatare di essere sul punto di diventare allergico alla lettura dei quotidiani, io che ho sempre considerato questa abitudine “la preghiera del mattino dell’uomo moderno”.
Ieri Scalfari, a proposito del 25 aprile, ha celebrato soddisfatto la presunta caduta del “muro che aveva fin qui impedito a quella ricorrenza di diventare una data condivisa da tutti gli italiani.” Un’inesattezza enorme. Non pago, l’ottuagenario direttore del secondo quotidiano italiano per copie vendute ha sostenuto che il merito di questo evento epocale sarebbe di Berlusconi:
“il merito di questo risultato spetta a Silvio Berlusconi, al discorso da lui tenuto ad Onna ed anche – diciamolo – a Dario Franceschini segretario del Pd, che con il suo pressante invito ha incitato il premier a render possibile un evento così importante.”
Evidentemente Scalfari crede, sbagliando, che Berlusconi con il suo discorsetto da scolaretto all’esame di terza media abbia accettato i valori e la realtà storica della Resistenza. E a questa ipotetica svolta culturale, Berlusconi che cambia opinione (come fosse la prima volta), Scalfari dà un’importanza storica. Successivamente il direttore mette solamente tra parentesi un piccolo particolare, dunque a suo avviso secondario:
“(anche se l’ipotesi di cambiare il nome della celebrazione in quello di “Festa della Libertà” è certamente una proposta contro la memoria che indebolisce notevolmente le osservazioni precedentemente fatte).”
Berlusconi ha proposto di cambiare nome alla Liberazione, e questo per Scalfari va tra parentesi. Come se il cambiamento del nome dato dagli storici, dalle istituzioni e dai partigiani all’evento fondante della nostra Repubblica fosse solo una quisquilia, un aspetto secondario, da sacrificare all’altare del Vietato Demonizzare Berlusconi e del compromessi tra chi accetta e celebra i valori fondanti della Repubblica e chi invece simpatizza ancora un pochino per i valori del Nazifascismo.
Al contrario da quanto sembra credere l’anziano ma ancora ingenuo giornalista, far scomparire “la Liberazione” significherebbe nient’altro che lo svuotamento definitivo del significato della Liberazione stessa.
Alla fine del suo pezzo, e dopo aver ringraziato anche Napolitano e Fini (… Fini!) per aver insegnato al bravo scolaretto Berlusconi i valori della Resistenza che hanno creato la nostra Repubblica, Scalfari chiude rassicurandoci che “la svolta è comunque avvenuta”, anche se “bisogna ora vedere se i seguiti saranno conformi al nuovo inizio e intanto rallegrarsene.”
Allegria, direbbe Mike Buongiorno, uno dei tanti dipendenti di Berlusconi. Berlusconi adesso si dice pronto a festeggiare il 25 Aprile, ma solo a patto di non chiamarlo Festa della Liberazione!
Detto questo, Scalfari lascia la parola ad Aldo Schiavone che parla di un “passo avanti verso la pacificazione” (sic). Oltre mezzo secolo dopo la pacificazione vera, quella della Liberazione del 1945, dell’amnistia del 1946, e della Costituzione del 1948.
In realtà non c’è di che rallegrarsi né per un discorsetto di Berlusconi, che domani potrà essere anche smentito e dopodomani dimenticato, né per la “pacificazione del 2009” immaginata da Scalfari e Schiavone. Questo perché, il nostro Scalfari non ce ne voglia, la Repubblica Italiana non ha bisogno che Berlusconi impari la storia che avrebbe dovuto memorizzare tra le elementari e le medie, né tanto meno abbiamo bisogno di una “pacificazione” se per questo si intende solamente spalancare i cancelli a revisionismo, menzogna e opportunismo.
Discorsi del genere in Germania sarebbero condannati dal popolo, dalla stampa e dalla classe politica, ed in primis dalla cancelliera democristiana e conservatrice Angela Merkel. In Germania, come in ogni paese pienamente civile, nessuno si sognerebbe mai di cercare di ingraziarsi i Nazifascisti, come fa Berlusconi per non perdere i quattro voti dei nostalgici degli occupanti tedeschi. In un Paese pienamente civile la “pacificazione nazionale” non si fa cambiando la Verità Storica, mettendo sullo stesso piano i Nazifascisti che combattevano per il Terzo Reich e lavoravano per l’Olocausto con i partigiani che hanno contribuito alla liberazione dell’italia e hanno poi creato la Repubblica e la Costituzione Italiana.
La realtà sono le 2273 stragi naziste e repubblichine, che hanno massacrato 25 mila tra uomini, donne e bambini in soli due anni (tra il 1943 e il 1945).
La realtà è univoca. Comprovata. Non c’è bisogno che Berlusconi la accetti né tanto meno che la riscriva.
“Se avessero vinto loro…?”, replicò Norberto Bobbio a Renzo De Felice e altri revisionisti anni orsono. La realtà è che se i Nazifascisti avessero vinto, in Italia avremmo avuto una dittatura spietata, schiava di Hitler. Avremmo avuto omicidi di innocenti e deportazioni di massa, razzismo di stato, eugenetica e quant’altro. Avremmo avuto altre guerre di conquista per costruire Imperi sulla pelle dei popoli conquistati. Avremmo avuto la religione dell’odio per i nemici e per tutti i presunti diversi. Avremmo avuto il totalitarimo come valore fondante dello Stato, insieme al disprezzo della democrazia e della vita umana.
Non abbiamo avuto tutto questo solo perché i nazifascisti non sono riusciti ad ammazzare tutti i partigiani e ha bloccare l’avanzata delle truppe Alleate. I partigiani HANNO VINTO la guerra e hanno creato una Repubblica democratica. E, guarda un po’, hanno amnistiato i nazifascisti! In Italia a guerra finita non abbiamo avuto nemmeno un processo di Norimberga. Nessuna seria “denazificazione” o “defascistizzazione”! Nessun processo. A volere l’Amnistia (per i reati comuni e politici, compresi quelli di collaborazionismo con il nemico e reati annessi ivi compreso il concorso in omicidio) fu proprio il segretario del PCI, il seppur controverso Palmiro Togliatti, da Ministro della Giustizia.
Con l’Amnistia di Togliatti i fascisti nelle istituzioni, nella magistratura, nell’esercito, nei ministeri e nelle aziende pubbliche continuarono a lavorare come nulla fosse. Le leggi fasciste non furono mai abrogate. Il Codice Rocco rimase in vigore. I fascisti poterono parlare nelle radio e scrivere nei giornali. Manifestare pubblicamente. E addirittura dare vita a partiti e partecipare liberamente alle libere elezioni dove tutti i cittadini maggiorenni (uomini e donne) hanno avuto la liberità di votarli.
Insomma, IN ITALIA LA PACIFICAZIONE C’E’ GIÀ STATA. Non si lamentino, i nazifascisti.
“non credevano di essere nel giusto le Ss? Non credevevano di essere nel giusto gli uomini di Beria, il capo della polizia di Stalin, quando in nome di una rivoluzione che avrebbe portato “al sol dell’avvenire”, prelevavano la gente di notte, per imprigionarli nei Gulag? Non credeva di essere nel giusto l’esercito americano che sterminò quasi soltanto donne e bambini Cheyenne del villaggio Sand Creek? Vale come un’assoluzione essere in buona fede? (Cotroneo)
Tedeschi e repubblichini si trovarono sempre d’accordo, senza se e senza ma, su un punto preciso: l’implacabile persecuzione contro gli ebrei. Basta questa concordia da carnefici a qualificare la repubblica di Salò. Pietà è una parola, assoluzione un’altra. (Andrea Camilleri)
L’Idea che il 25 aprile sia la festa di tutti è una mistificazione. Il 25 aprile è la festa della liberazione, la liberazione d’Italia dall’occupazione e dall’oppressione nazifascista, e della nascita della democrazia. E’ quindi la festa della vittoria dell’antifascismo sul totalitarismo: la vittoria di quell’insieme di forze e di cittadinanza grazie a cui abbiamo oggi nel paese la Libertà e la Democrazia. Quella del 25 aprile non è dunque la festa di chi non si proclama antifascista. (Paolo Ferrero)