Prodi è stato ospite di Fazio su Rai Due, dove ha attaccato senza mezze parole l’ex segretario PD Veltroni. Prodi ammette di essersi dimesso da presidente del partito, di aver preso le distanze dal suo PD perché non ne condivideva più le scelte di fondo. Non condivideva la linea di Veltroni. Lo dice con la sua solita tranquillità, senza troppi giri di parole:
«Certamente la linea politica che è stata adottata non era la mia, mi sono fatto da parte».
E che ne pensa, Prodi, della decisione di Veltroni di non lavorare in campagna elettorale a una politica delle alleanze, di correre senza La Sinistra?
«Ho sempre sostenuto che non si doveva andare da soli.» Al contrario, il PD «doveva essere invece il nucleo fondante della coalizione” di centro-sinistra. Per Prodi, “è compito della Democrazia portare nella cultura di governo anche le ali estreme, questa è la democrazia.»
Ma non è tutto.
Rispondendo alla domanda di Fazio su cosa abbia pensato nel momento in cui sentì Veltroni pronunciare la fatidica frase «correremo da soli», Prodi dice una frase che sa tanto di un atto d’accusa nei confronti di Veltroni:
«Non ebbi bisogno di pensare niente. Si affacciò Mastella nel mio ufficio, mise la faccia di traverso e disse: ragazzi miei, se volete far fuori me, sono io che faccio fuori prima voi. Anzi, Mastella per la verità usò una frase un po’ più colorita».
Come, signori dell’Informazione, non era stata la “Sinistra Radicale” a far cadere Prodi?
Ma l’accusa è seria e non c’è bisogno di leggere chissà quanto tra le righe per interpretare il suo pensiero perché con questa battuta Prodi addossa chiaramente a Veltroni la responsabilità di aver fatto cadere il suo governo. O quantomeno di aver innescato la mina Mastella, con conseguente crisi di governo. Infatti, per Prodi non era scritto da nessuna parte che il suo Governo dovesse arrivare a fine corsa così prematuramente, nonostante i numeri risicati:
«Dopo una Finanziaria durissima il paese poteva godere dei frutti dei sacrifici precedenti. Il Governo poteva andare avanti ma, come accadde col mio primo Governo dopo l’entrata nell’euro, il Governo fu fatto cadere».
Il governo avrebbe potuto continuare a governare, ma così non è stato. «Capita». Sorriso, a labbra strette. Poi Prodi afferma che «avendo io vinto per due volte le elezioni e essendo capitato quanto sopra detto», visto che «ci sono dei giovani molto in gamba che possono portare avanti le cose, credo che qualcun altro debba avere il compito storico di portare avanti questo obiettivo». Prodi ripete anche che:
«quando c’è un debito che supera il PIL di un paese, uno deve dire la verità a i propri concittadini. Il risanamento delle finanze del Paese è (pre)condizione perchè si possa migliorare la scuola, la ricerca, perchè si possa dare più denaro alle classi più deboli. Uno non può distribuire risorse che non ha».
Infine, Prodi dice che ora bisogna lavorare sulla «forma democratica interna», perché per questo come per tutti gli altri partiti «deve finire il gioco delle tessere». Lo sguardo è una panoramica:
«Di partiti democratici non se ne vedono mica tanti. Io faccio critiche in casa mia perché è doveroso, ma se guardo da altre parti la forma partitica italiana è stata ridotta in uno stato miserabile». Perché «senza partiti non si fa politica».
Insomma, sembra quasi che Prodi si sia limitato a sottoscrivere i punti che da un anno e mezzo abbiamo sottolineato in tutte le salse:
- La nascita del Partito Democratico e la sovraesposizione mediatica del suo leader, Walter Veltroni, oltre che una pessima gestione del rapporto di continuità con l’antica Unione, ha fortemente contribuito alla nascita di numerosi malumori all’interno dell’esigua maggioranza parlamentare che sosteneva il governo Prodi, contribuendo di fatto alla sua caduta.
- La scelta di Veltroni di intavolare un dialogo sulla legge elettorale con Berlusconi ha avuto come unico risultato quello di riportare al centro della scena politica italiana un leader che ormai era stato abbandonato da tutti i suoi alleati, restituendogli uno smarrito vigore politico e riconoscendone piena legittimità istituzionale, nonostante sia palesemente inadatto a governare un paese democratico.
- La scelta di presentarsi alle elezioni politiche escludendo a priori numerosi ex alleati, senza nemmeno tentare una mediazione, ha di fatto spianato la strada alla vittoria della destra, non solo dandole un consistente vantaggio numerico, ma accentuando l’immagine negativa del precedente governo, già massacrato dai media.
- La presenza nelle liste di ben 18 tra condannati, prescritti, indagati, imputati e rinviati a giudizio non ha affatto rappresentato una risposta convincente rispetto alla richiesta di pulizia dei cittadini italiani.
- La campagna elettorale timida e inconsistente ha contribuito ad accentuare la sensazione di un partito privo di una reale identità politica e programmatica, balbettante e fumoso su numerosi temi di grande rilievo né ha chiarito quale sia la posizione del partito su questioni quali giustizia, libertà di informazione, sicurezza sul lavoro, precariato, lotta alla mafia, laicità dello Stato.
- Il disastroso risultato ottenuto alle elzioni politiche, regionali, provinciali e comunali impone a nostro giudizio una forte assunzione di responsabilità da parte dei vertici del partito. Riteniamo che solo attraverso un profondo ricambio della sua classe dirigente questo partito possa riacquistare credibilità e prepararsi al meglio per le future tornate elettorali.
Romano Prodi a “Che tempo che fa” – 15/03/2009