In questi giorni di Natale qui a Ho Chi Minh City (Saigon) l’atmosfera di festa è estremamente viva e colorata: un’esplosione di kitsch asiatico. Certo, dei motivi per cui si festeggiava il giorno in cui gli antichi notavano che il sole “tornava a brillare” resta ben poco. E invece sarebbe bello, almeno una volta l’anno, ricordarci che possiamo vivere proprio e solo grazie all’energia ricevuta dalla stella del nostro sistema solare. E dunque festeggiare il giorno in cui, dopo un lungo declino, l’astro più luminoso del cielo torna ad essere “più forte”, e la nostra vita e quella di tutti gli esseri viventi del pianeta inizia a “rinascere” con esso.
Al contrario, il centro di Ho Chi Minh City in questi giorni e’ diventanto una gran baraonda, con frenetiche mandrie di ragazzine che corrono e si rincorrono, come impazzite, per riempire le buste della spesa con varia e pressoche’ inutile paccottiglia. O peggio, a farsi delle banalissime fotografie sotto improbabili alberi di natale innevati (come sempre oggi fa 30 gradi all’ombra), o davanti alle lavatrici nuove e infiocchettate esposte nei grandi centri commerciali del tutto identici a quelli di Singapore, Bangkok, Roma o Mosca, o assieme ai tanti babbo natali della Coca Cola.
Ma è comunque una bella atmosfera, estremamente “umana” (perché questo sono gli esseri umani e non vanno troppo sopravvalutati, soprattutto quando parliamo di “masse” e non di “individui”). Anzi fa tenerezza vedere così tante persone – non parlo di bambini ma di adulti! – così felici per il semplice fatto di farsi una foto vicino a un alberello di plastica o a una renna di cartone, che il più delle volte addirittura scambiano per un cavallo o un cervo, non avendo generalmente la minima concezione di cosa sia una renna.
E allora, per curiosità antropologica, anch’io mi butto in mezzo a questi apocalittici assembramenti di gente che si infittiscono attorno ai centri commerciali più luccicanti e costosi, dove una cravatta costa 3 o 4 mesi di pensione di un vecchio con la schiena curva dopo 60 anni di lavoro nei campi di riso e 30 anni di guerra e guerriglia. Nessuno sa più bene per che cosa. Un vecchio che ha passato anni a farsi la sua oretta serale di educazione politica dove gli venivano insegnati tutti i mali del capitalismo americano, e ora si ritrova tra quelli che non hanno venti dollari per comprarsi un cellulare con una canzoncina americana come suoneria. Poveri in una società dove se non hai i soldi sei solo un pezzo di merda.
Gabriel García Márquez ha scritto che “la cosa più sinistra dei Natali del consumismo è l’estetica miserabile che portano con sè: le cartoline indigenti, le campane di vetro, le corone di vischio sulle porte, le canzoni da ritardati mentali che sono villanelle tradotte dall’inglese e tante altre stupidaggini per le quali non valeva nemmeno la pena d’aver inventato l’elettricità.”
Ma questa “estetica miserabile” non e’ nient’altro che il kitsch di cui gli asiatici sono innamorati. E il Natale consumista per loro e’ una festa carica dei valori che più amano, una droga dal mix perfetto: famiglia, shopping, ricchezza, abbondanza, felicità, ostentazione, doni, lucette colorate a intermittenza, chincaglierie tecnologiche. E non mi stupisco più quando quasi tutti i miei studenti mi dicono che in questi giorni andranno a vedere le mille luci gialle, rosse e blu della Cattedrale di Santo Stefano – retaggio del colonialismo francese che si erge con vanagloria tra il grattacielo a vetri del Diamond Plaza e una grande banca canadese – anche se non sono cristiani e non sanno assolutamente nulla della storia o favola di Gesù Bambino, che spesso pensano che sia Babbo Natale da piccolo. Pensano che questo bambinello sia nato negli Stati Uniti o da qualche parte in Italia (perché “in Italia sono tutti cattolici”) e non hanno mai sentito parlare di un villaggio di nome Betlemme.
L’Asia e’ il centro del mondo, questi giovani sono il futuro, e un giorno forse anche la favola di Gesù Bambino (a sua volta influenzata da miti precedenti) verrà di nuovo stravolta, e tutto il mondo festeggierà il Natale solamente come il giorno in cui si ricorda la nascita del signore della Coca Cola, un vecchio simpatico, grassoccio e col nasone da bevitore di birra tedesco, che distribuisce doni nei centri commerciali. E il bambino più fortunato, quello baciato dalla Divina Provvidenza, sarà quello che riceverà l’iPhone più accessoriato. Della tanto amata favola di Gesù Cristo, dei buoi, degli asini, dei pastori, del bravo falegname e della ragazzina che partorì senza aver mai fatto all’amore si perderà la memoria. D’altronde nessuno si e’ mai arricchito vendendo cinture di castita’. Tutto il presepe si perderà nei meandri della storia insieme a Mitra, Horus, Iside, Odino e Apollo. E forse e’ giusto, o normale, che sia così.
Amen.
Amen.