(Bhutanesi in fila davanti ai seggi elettorali)
Dopo circa un secolo di monarchia assoluta il Bhutan ha deciso di sperimentare la democrazia
Il minuscolo paese himalayano incastonato tra l’India Nord-orientale e il Tibet occupato dai cinesi si stava preparando ad introdurre la democrazia ormai da qualche anno. E’ stato il re Jigme Singye Wangchuck, che nel dicembre del 2006 ha abdicato in favore del figlio Jigme Khesar Namgyel Wangchuck, a prendere la decisione di consegnare il potere nelle mani di un’assemblea elettiva.
Il re ha pensato che iniziare a muovere il suo Paese verso la democrazia in un periodo di relativa stabilita’ e prosperita’ sia una scelta piu’ saggia che aspettare un cambio forzato da circostanze negative.
In base alla nuova Costituzione, che entrerà in vigore quest’anno, il sovrano ricoprirà la carica di Capo di Stato, ma praticamente tutti i poteri saranno delegati al parlamento, che potrà anche mettere sotto accusa il re con un voto a maggioranza di due terzi. Insomma, sulla carta si tratta di una vera monarchia costituzionale.
A dirla tutta, molti dei sudditi di Sua Maesta’ non avevano mostrato troppa fretta nel “mettersi al passo coi tempi”. In Buthan infatti, al contrario che in Nepal, la casa reale e’ ancora amata. Sono pochi i bhutanesi hanno accolto questa “rivoluzione dall’alto” con entusiasmo, temendo che l’introduzione della democrazia possa destabilizzare un Paese che si ritrova stretto tra due fronti: quello esterno, essendo il Bhutan nel bel mezzo di una zona geopolitica sempre piu’ calda, tra India e Cina, e quello interno, col problema dei Lhotshampas, cittadini di etnia nepalese malvisti dall’etnia maggioritaria bhutanese e privati persino del diritto di voto.
Questi cittadini vengono sistematicamente discriminati in quanto non seguono il culto buddista maggioritario in Bhutan e parlano il dialetto tibetano adottato dal regno butanese, il Dzongkha.
I Lhotshampas arrivarono in massa in Bhutan a fine ‘800 dal Nepal per cercare terre coltivabili. Ma negli anni ’70 il re Jigme Singhye lancio’ la politica “un regno, una nazione” escludendoli dai diritti di cittadinanza.
Ccon due leggi (del ’77 e del ’85) venne permesso ai Lothshampas di iscriversi all’anagrafe solo se avessero dimostrato che entrambi i genitori si trovavano nel Paese da prima del 1958. Il nepalese venne bandito dalle scuole e ai Lothshampas si impose di adottare il buddismo, imparare lo Dzongkha e adottare il codice di abbigliamento butanese, il Drukpa Bakku.
Per ironia della storia, tutte queste politiche discriminatorie vennero decise dal re che ora si acclama come democratico. In realta’, finche’ non si sara’ trovata una soluzione per queste persone non si potra’ parlare per il Bhutan di vera e propria democrazia.
Le elezioni hanno avuto luogo sotto la supervisione del re Jigme Khesar Namgyel Wangchuck, un ventottenne laureato nella prestigiosissima Universita’ di Oxford, in Inghilterra. La prima tornata elettorale si e’ svolta il 29 dicembre scorso, la seconda il 29 gennaio. Durante queste prime due tornate, durante le quali i cittadini bhutanesi hanno eletto i 20 membri del Consiglio Nazionale (la Camera alta), in totale l’afflusso alle urne e’ stato di poco superiore al 50% degli aventi diritto di voto. La percentuale dei votanti relativamente bassa e’ spiegabile col fatto che una parte dei cittadini residenti in remoti villaggi non se l’e’ sentita di mettersi in viaggio in direzione della piu’ vicina sezione elettorale.
Tra febbraio e lo scorso lunedì 320 mila bhutanesi, che rappresentano circa l’80 per cento della popolazione con diritto di voto, si sono recati nuovamente alle urne, questa volta per per l’elezione dei rappresentanti della Camera bassa, rendendo effettiva la transizione da monarchia assoluta a monarchia parlamentare.
I risultati elettorali non sono stati una sorpresa: 44 seggi su 47 sono andati al Partito Pace e Prosperita’, il piu’ realista in lizza.
L’aspetto piu’ senzazionale dell’esperimento democratico bhutanese e’ stato invece il profilo degli eletti, in gran parte giovanissimi. Ad esempio, per la Camera alta 11 dei 15 eletti il 31 gennaio sono ventenni o trentenni. Il piu’ vecchio ha 46 anni. Due degli eletti avevano appena terminato gli studi universitari.
La giovane eta’ degli eletti e’ in parte dovuta al regolamento che prescrive che tutti i candidati debbano essere laureati, e in Bhutan solo le ultime generazioni hanno iniziato a frequentare l’università. In pratica la democrazia bhutanese sara’ nelle mani di giovani laureati.