L’analisi prende il via dalle previsioni rese note dall’ex segretario alla difesa, Donald Rumsfeld: tra i 50 e i 50 miliardi di dollari. Più di recente, il consigliere economico di Bush, Larry Lindsey, ha chiesto al Congresso un finanziamento aggiuntivo di 200 miliardi. Naturalmente, come suggeriva allora Paul Wolfowitz, la «ricostruzione sarebbe stata finanziata con l’aumento della produzione petrolifera» da parte dell’Iraq.
Balle, spiega Stieglitz. «I costi diretti dell’intervento in Iraq superano quelli della guerra in Vietnam – 12 anni di durata – e sono già il doppio di quelli della guerra di Corea». Il calcolo è fatto naturalmente in «dollari costanti». Chiaro, oggi l’apparato militare è ipertecnologico; ogni «pezzo» costa molto di più. Il «costo per soldato» è enormemente aumentato: da 100mila a 400mila dollari. Ma fa impressione comunque leggere che «l’unica guerra della nostra storia a costare di più è stata la seconda guerra mondiale, quando 16,3 milioni di soldati furono impegnati in una campagna lunga quattro anni». Quasi 5.000 miliardi, in dollari 2007.
Se verrà approvato il finanziamento supplementare per il 2008, le spese ufficiali «controfirmate» (tra operazioni militari, ricostruzione, costi delle ambasciate, messa in sicurezza delle basi, programmi di aiuti) arriveranno a un totale 845 miliardi. Ma le «spese correnti» assommano ormai a 12,5 miliardi al mese per la guerra in Iraq (erano 4,4 nel 2003), 16 se si calcola anche l’Afghanistan. Ma il conto non include i 500 miliardi annui che vanno al Pentagono, parte dei quali servono direttamente a sostenere le due guerre. In più, per Stieglitz, ci sono i «costi nascosti» (intelligence potenziata, fondi misti con altri dipartimenti). Per esempio, «i benefit in caso di morte e l’assicurazione sulla vita», saliti – con l’inizio della guerra – «da 12.240 (death benefit) a 100.000 dollari, e da 250mila a 400mila (life insurance)». Viene fatto notare che queste cifre, pur consistenti, «sono una frazione di quei 7 milioni che vengono attribuiti in caso di morte per incidente stradale di un giovane all’apice delle sue aspettative future».
In più, i 4.000 soldati ufficialmente riconosciuti come «morti in combattimento» sono solo una parte delle perdite. Non lo sono i morti durante i viaggi notturni e in tutti gli altri incidenti «non correlati al combattimento» (ma all’interno del teatro di guerra). E’ come se il Pentagono – dice Stieglitz – avesse «doppio libro contabile». Nel secondo, «tra uccisi, feriti o sofferenti per turbe psichiche c’è un numero doppio rispetto a quello» ufficiale.
Questa serie di distinguo permette a Stieglitz di arrivare – «per difetto, probabilmente» – a una stima di quasi 3.000 miliardi di dollari già spesi. La domanda che chiunque si pone è semplice: come mai tutta questa «spesa pubblica straordinaria» non ha impedito la crisi finanziaria che sta minando il sistema internazionale? E soprattutto: come mai i cittadini americani non se ne accorgono? Stieglitz, naturalmente, risponde. «Il prezzo in termini di sangue è pagato da volontari e contractors» (non da soldati di leva). Ma «anche se le tasse non sono salite per pagare la guerra, il prezzo è stato finanziato interamente dai contribuenti». Il trucco c’è. «La spesa in deficit dà l’illusione che le leggi dell’economia possano essere annullate, e che si possa avere contemporaneamente sia il burro che i cannoni». Un’illusione, appunto. «I costi della guerra sono reali, anche se possono essere differiti, possibilmente a un’altra generazione». Ma prima o poi si pagano. Anche perché, diversamente dalla spesa keynesiana in «burro» (il welfare, insomma), quella in «cannoni» ha un effetto moltiplicatore assai basso sullo sviluppo. Concentra i profitti in pochissime mani, ma non «redistribuisce» quasi nulla. Nemmeno negli Stati uniti.