I ricercatori Usa hanno per la prima volta identificato il gene che lega la restrizione calorica a una maggiore aspettativa di vita
Poche calorie fanno vivere di più
e la conferma arriva dal Dna
MANGIARE di meno, acquisire quindi poche calorie, allunga la vita. Certo, lo si immaginava, ma adesso c’è la conferma. Nel nostro Dna. Proprio qui i i ricercatori del Salk Institute for Biological Studies di La Jolla, in California hanno per la prima volta identificato il gene che lega la restrizione calorica con la maggiore aspettativa di vita.
Dopo aver studiato alcuni modelli animali, tra cui vermi e moscerini della frutta, gli scienziati hanno scoperto che a garantire un extrabonus di vita è il gene che codifica la proteina Pha-4. “Se viene spento – spiegano su Nature – i vantaggi di un regime calorico ridotto sono vanificati. Al contrario quando viene espresso in quantità superiori al normale si assiste a un considerevole allungamento della vita”.
Questa proteina, inoltre, sembra agire in maniera completamente indipendente rispetto al meccanismo dell’insulina “finora ritenuto tra i corresponsabili della longevità”. Gli scienziati hanno scoperto che nel Dna umano esistono ben tre geni che assomigliano a quello che produce la proteina Pha-4, “e appartengono tutti a quella che viene definita la famiglia dei geni Foxa. Tutti e tre rivestono un ruolo determinante nello sviluppo dell’organismo e poi nella regolazione del glucagone, un ormone prodotto dal pancreas che serve a regolare il bilancio energetico”.
“Una ricerca che – ricorda il coordinatore dello studio Andrew Dillin, del laboratorio di biologia molecolare e cellulare del Salk Institute – è durata 72 anni. Da quando cioè per la prima volta si era scoperto nei topi e in altre specie animali che meno calorie potevano allungare la vita anche del 40%”.
A detta degli scienziati, comprendere la ragione genetica della longevità consente di cercare di mettere a punto farmaci in grado di imitare gli effetti della restrizione calorica “senza dover adottare un regime alimentare così restrittivo da essere sopportabile solo dagli asceti”.
La ‘caccia’ al gene della longevità da parte dell’èquipe del Salk Institute era cominciata scandagliando le sequenze proteiche dell’insulina nel Caenorhabditis elegans, il verme più usato nei laboratori di tutto il mondo. Un’ipotesi accantonata però da un collaboratore di Dillin. Al contrario gli scienziati hanno individuato come nevralgico il segnale chiamato Smk-1, molto simile ad altri 15 espressi dal Dna del verme studiato. Così i ricercatori sono andati ad accendere e spegnere ognuno di questi interruttori genetici per verificare la sua capacità o meno di allungare la vita, fino a trovare la proteina Pha-4.
“Il potenziale effetto della restrizione calorica anche del 60% rispetto all’apporto normale, pur mantenendo una dieta ricca di vitamine, minerali e altri nutrienti – dicono – è enorme. E allo stato attuale – aggiungono i ricercatori – rappresenta l’unica strada, eccetto la manipolazione genetica, per ridurre drasticamente i rischi di cancro, diabete, malattie cardiovascolari e tutte le altre patologie legate all’invecchiamento. Scientificamente provata su molti animali, dai topi alle scimmie”.
Da www.repubblica.it (2 maggio 2007)